Marino Bartoletti, ossia il Platone della televisione sportiva. Era lui il deus ex machina del primissimo Quelli che il calcio, trasmissione d’intrattenimento dai risvolti più filosofici di quanto non si possa immaginare.

Sguardo serio ma non serioso. Quanto basta almeno per intravedere sotto a quel baffo folto il sorriso di chi sa usare con tutte le possibili sfumature l’ironia, anche mentre sta raccontando qualcosa di importante. Marino Bartoletti in quel programma rappresentava ufficialmente la parte più concretamente giornalistica (se vi era uno sciopero della categoria, lui senza batter ciglio o alimentare polemiche lasciava il suo posto a un ospite). Eppure era, sorprendentemente, proprio la valvola pensante di quel romantico e pazzo circo domenicale. Costantemente impegnato ad ascoltare la radiocronaca delle partite in diretta, per farla dialogare con qualunque segmento di una trasmissione ricca di fantasia. O per meglio dire di Idee, ossia qualcosa di originale da cui tutti saranno costretti a prendere spunto per dare origini a copie delle copie. In effetti la tv dopo Quelli che il calcio è stata sempre un già visto, anche se non sempre sappiamo ricordare di averlo apprezzato per la prima volta proprio lì.

Tutto nasceva dall’estro di Marino Bartoletti, all’epoca già apprezzato giornalista con alle spalle, tra le altre cose, una direzione di Guerin Sportivo e una conduzione di Pressing (di cui fu anche lì antesignano). Questo nostro viaggio nel quale ripercorreremo per tutta la stagione la storia di Quelli che il calcio, comincia dunque proprio con un’intervista a lui. Al grande saggio, con la penna costantemente in mano non per giudicare ma per informare con attento equilibrio attraverso statistiche imprescindibili. Nel mondo del calcio si sa, tutto è opinabile proprio come nel mondo sensibile raccontato da Platone. Quel che conta è mantenere una giusta misura. Già, perché come Platone si faceva interprete del pensiero socratico, anche Bartoletti da sempre sa riportare modi di intendere la vita di tanti sportivi e artisti. Sempre, però, in nome dell’ironia che non travalichi la correttezza. Piuttosto, servendosene come strumento ai fini di un dialogo fondato su diverse opinioni: anche nello sport, la verità emerge dalla maieutica. Quelli che il calcio lo sapeva raccontare bene…
Come nacque davvero quell’avventura?
Come il sogno di un bambino coi baffi che, cresciuto seguendo un certo modello televisivo e con la passione del calcio raccontato dalla radio, voleva continuare a divertirsi. Mi venne in mente di creare una trasmissione che potesse rappresentare la trasposizione di Tutto il calcio minuto per minuto sul piccolo schermo e, al tempo stesso, unire quegli elementi di televisione alternativa ai soliti contenitori domenicali.
Ci riusciste.
L’esperimento era ambizioso anche se, guardandolo con gli occhi di oggi, questo può far sorridere. All’epoca, però, in pochi avevano l’abbonamento a Telepiù, quindi era interessante il fatto che noi potessimo mostrare alcune immagini dagli spalti e dal campo a palla ferma o durante le esultanze dei giocatori. E poi facevamo appunto vedere sullo schermo i volti dei radiocronisti, fino a quel momento noti solo per nome e per voce, a parte Sandro Ciotti che era già famoso anche televisivamente. Apparivano su un tabellone con una particolare tecnica che li mostrava a velocità rallentata attraverso il satellite. L’idea era quella di far capire che non ci fosse molta differenza tra le emozioni raccontate da chi guarda una partita e quelle di chi la racconta.
Per questo infatti avevate diversi ospiti in studio e fuori che nulla avevano a che fare col calcio.
Fu lì che si espresse la mia passione per la musica. Volevo incontrare Little Tony e quindi lo invitammo con la scusa di fargli fare il tifoso. Lucio Dalla era il tifoso del Bologna. E poi c’erano gli altri…
Ossia?
Volevo un giornalista di colore, tifoso; un religioso o una religiosa tifosa. Senza conoscerli avevo fatto l’identikit di Idris e Suor Paola.

Furono scelti attraverso casting?
No, Idris lo aveva conosciuto il nostro regista Paolo Beldì in una improbabile trasmissione che avevano fatto in precedenza. Suor Paola era conosciuta da qualcuno della redazione di Roma. Ciascuno insomma aveva portato qualcuno.
In qualche modo, tra musica e calcio, quel programma inventato nell’estate 1993 segnava un’idea a immagine e somiglianza delle più grandi passioni di Marino Bartoletti.
L’idea c’era, ma a inizio campionato mancava il conduttore: nessuno voleva farlo. Dopo che Angelo Guglielmi direttore di Rai Tre aveva cassato i tre nomi che avevo proposto, provammo a convincere Gaspare e Zuzzurro, Morandi, Dario Fo. Quest’ultimo ci disse che non avrebbe mai potuto fare una cosa del genere perché non era nelle sue corde, per usare un cordiale eufemismo. Quattro anni dopo vinse il Nobel! Il campionato quindi iniziò ma il programma non sarebbe mai partito senza conduttore. Io e Carlo Sassi eravamo previsti per stare dietro al tavolo in un ruolo che oserei definire più tecnico. Finché poi non trovammo Fabio Fazio, che in quel periodo stava cercando di capire cosa volesse fare da grande: in effetti divenne il trascinatore della trasmissione. Iniziammo due settimane dopo, ma questo non guastò le nostre soddisfazioni.
Come andò in termini di share?
Guglielmi aveva previsto che non saremmo mai riusciti a superare il 5% di share. Alla prima puntata eravamo sopra il 10%. Crescemmo fino a raggiungere il 20%. Troppi per Raitre: ci spostarono quindi su Raidue.
Ti sei mai spiegato quale fosse il segreto?
Aver messo insieme tanti ingredienti vincenti. Il programma piaceva a tutti: agli uomini soggetti al giudizio della Corte di Cassazione del calcio, e con altri elementi anche alle donne che non seguivano il pallone. Il successo era dato da tanti fenomeni presenti in trasmissione: negli anni arrivarono Teocoli, nel periodo più florido della sua carriera, un simpaticissimo Paolo Brosio e molti altri. Tutti contribuivano a creare un vero circo dell’imprevedibilità, data ovviamente anche dai risultati delle partite.
La puntata più difficile?
Era gennaio 1995: si giocava Genoa-Milan. A un certo punto un tifoso genoano fu ucciso in tribuna e la partita fu inevitabilmente sospesa. Fazio si sedette di fianco a me e Sassi e senza dire nulla capimmo, guardandoci in faccia, che c’erano cose più importanti di una trasmissione di intrattenimento. Facemmo svuotare lo studio da ospiti e pubblico e rimanemmo solo noi tre in silenzio ad ascoltare la radiocronaca di Tutto il calcio minuto per minuto. A suo modo fu una grande pagina di televisione, che in quel momento non aveva bisogno di intrattenimento ma di informazione. E rispetto.
Raccontare una Serie A così piena di campioni, negli anni in cui la Nazionale faceva letteralmente sognare, fu un vantaggio per il successo del programma?
Certo in quegli anni avemmo anche la fortuna: in nove stagioni potemmo raccontare quattro squadre vincitrici diverse. Se pensiamo che negli ultimi tempi per nove anni consecutivi ha vinto solo la Juventus… Indubbiamente c’era un’ecumenicità che rendeva i campionati più interessanti con grandi campioni, per cui tutti erano competitive. Erano gli anni delle Sette Sorelle. Credo comunque che ci saremmo divertiti molto a raccontare, in modo diverso e con le dovute differenze, anche il campionato di quest’anno con la cavalcata del Napoli.
Il momento più divertente?
Sono infiniti. Provando a pensarne uno, il primo che in questo momento mi viene in mente è l’incontro tra Arianna e Sinisa Mihajlovic in campo, con Anna Marchesini nei panni della signorina Carlo. A pensarci avevamo toccato la follia a volte.
Non vivevate la paura di non poter censurare in diretta personaggi fuori dalle righe a cui nella foga del tifo poteva scappare anche qualche cosa di troppo?
No: anzitutto perché era un’altra tv, più libera per tanti versi. E poi Beldì era bravissimo a trovare le inquadrature necessarie alla narrazione del programma, riuscendo a inserirli nei giusti contesti che non avrebbero mai fatto trasparire alcuna volgarità ma al massimo tanta ironia. Molti citano i meriti miei e di Fabio, ma anche Beldì era fondamentale in quella trasmissione.
Il programma poi è cambiato con diverse versioni negli anni. Direi senza offesa che non ci si è mai più divertiti come ci si è divertiti nelle prime edizioni con voi.
Francamente lo penso anche io.
Ma con una Serie A così cambiata, anzitutto negli orari, ti sei mai chiesto come sarebbe stato fare Quelli che il calcio oggi?
Lo spezzatino avrebbe messo in difficoltà anche la formazione originaria, che comunque fece un prodotto che nessun altro è mai più riuscito a replicare. Come La Settimana Enigmistica, anche Quelli che il Calcio vantava milioni di imitazione. E ne andiamo ancora oggi orgogliosi.
Massimiliano Beneggi