Fino al 29 ottobre al Teatro Manzoni di Milano è in scena Testimone d’accusa (produzione Gitiesse Artisti Riuniti e Teatro Stabile del Veneto) di Agatha Christie con traduzione di Edoardo Erba. Ecco la recensione.

IL CAST
Vanessa Gravina, Giulio Corso, Paolo Triestino, Michele De Maria, Antonio Tallura, Sergio Mancinelli, Bruno Crucitti, Paola Sambo, Francesco Laruffa, Erika Puddu, Lorenzo Vanità, sei signori e signore della Giuria. Regia di Geppy Gleijeses.
LA TRAMA
Leonard Vole è un uomo ruspante e troppo ingenuo per poter aver commesso l’assassinio dell’aristocratica Emily French, eppure tutti gli indizi sembrano contro di lui. A cominciare dal fatto che la ricca signora appena una settimana prima di essere uccisa avesse cambiato il proprio testamento, trasformandolo praticamente tutto in favore di Leonard Vole. L’uomo, per cui la French sembrava stravedere contro ogni parere di chi le voleva bene, è difeso dal saggio avvocato Sir Wilfrid Roberts. Può sperare unicamente in un alibi: dimostrare che all’ora del delitto si trovasse a casa sua. Solo la moglie, Roamine Heilger, potrebbe fornire tale testimonianza al giudice. Quando arriva il momento del processo, tra i tanti chiamati a rispondere davanti alla corte si presenta una serie di personaggi che conferma motivi di astio e di invidia nei confronti di Vole. Tuttavia nessuno di loro è in grado di fornire prove schiaccianti e determinanti. Le porterà Roamine, ma non nel modo in cui ci si potrebbe attendere. La donna è particolarmente astuta e geniale…
LA MORALE
Amare, a qualunque livello, significa vivere, ossia esserci completamente, senza tradimento. Questo è il leit motiv che torna a più riprese in un’opera autobiografica, scritta dalla Christie proprio dopo essersi sentita umiliata in tal senso dal primo marito. Ci sono diversi modi per fare del male. Sarebbe un tradimento da parte di Roamine testimoniare contro l’uomo che ha scelto al suo fianco. Sarebbe un tradimento da parte di Leonard assassinare l’anziana signora che confida in lui amorevolmente. Sarebbe un tradimento dei testimoni e del pm nei confronti della giustizia, se parlassero contro l’unico imputato senza prove certe. Sarebbe un tradimento nei confronti di se stesso se un avvocato difendesse qualcuno sapendolo colpevole. Quando, però, tutte queste dinamiche coabitano, qualcuno deve necessariamente avere tradito. E non è detto che lo abbia fatto con cattiveria. Dietro a un tradimento, ve ne sono nascosti sempre altri con ulteriori intrecci che meritano di essere analizzati.

IL COMMENTO
Una delle opere più intriganti di Agatha Christie, che in questo testo si supera in quanto a colpi di scena e ragionamenti diabolici. La storia di Testimone d’accusa va ben oltre il processo a Leonard Vole, che caratterizza la trama principale. Tantissimi i personaggi coinvolti, in un cast ben coordinato e completo: sono ben 11 gli attori sul palcoscenico e nessuno di loro è una semplice comparsa. Questo fa sì che la centralità dei protagonisti sia meno preponderante, sebbene i ruoli di Roamine (Vanessa Gravina), Leonard (Giulio Corso), Sir Wilfrid (Paolo Triestino) abbiano le personalità più caratterizzate. Ai ritmi più lenti iniziali, si contrastano quelli più vivaci in un escalation di emozioni e colpi di scena, fino al finale assolutamente imprevedibile. Il lungo processo va vissuto attimo per attimo e, se lo si segue con attenzione lasciandosi coinvolgere, diventa un enigma tutto da scoprire, con tanti punti che rischiano fino all’ultimo di rimanere irrisolti. Per gli amanti del genere giallo, Testimone d’accusa è uno spettacolo imperdibile. Non mancano spunti ironici e alcuni tempi comici imprevedibili, necessari a mantenere vivo il ritmo in un testo che, come ipotizzabile, riprende fedelmente più quello teatrale del 1953 che non quello cinematografico del 1957. Il Manzoni apre la stagione di prosa con un tutto esaurito nella sera in cui giocano gli azzurri contro l’Inghilterra: alla prevedibile sconfitta italiana, il pubblico preferisce l’imprevedibile (e vincente) trama inglese della Christie.
IL TOP
Paolo Triestino e Vanessa Gravina sono attori di eccezionale padronanza della scena. Capaci di raccontare la psicologia emotiva dei loro personaggi, attraverso la forza della voce prima ancora che della gestualità, i due protagonisti sono veri e credibili. I loro Roamin e Wilfrid si trovano in un rapporto che li rende talvolta pronti a studiarsi reciprocamente, talvolta empatici come nessuno potrebbe immaginarsi. Straordinari nella trasversalità camaleontica, ossia nei repentini sviluppi delle relative personalità. La Gravina, in particolare, si trasforma a un certo punto della storia, solleticando il divertimento del pubblico in sala. Corso, nel ruolo del guascone temerario e buono d’animo, sembra avere un personaggio cucito su di lui.
LA SORPRESA
Il rumore della vera macchina da scrivere utilizzata dallo stenografo, fa da sottofondo a tutto il processo; quel ticchettio, insieme al vociare del pubblico in aula (registrato), proietta nell’atmosfera da tribunale. Ma la grande sorpresa arriva proprio col dibattimento. Le sei persone della giuria, infatti, cambiano tutte le sere, perché sono scelte direttamente dal pubblico poco prima dell’inizio dello spettacolo. Anche loro, tuttavia, rimangono all’oscuro della trama esattamente come quelli seduti in platea. Fatta eccezione per la persona scelta per annunciare la sentenza finale, la loro presenza è soprattutto un espediente di originalissimo coinvolgimento. Più di metà dello spettacolo, i sei lo vedono quindi direttamente dal palcoscenico, con gli attori che spesso si rivolgono direttamente a loro guardandoli negli occhi. E alla fine salutano insieme alla compagnia. Quando il teatro sa distinguersi dalle altre arti, interagendo col pubblico senza filtri e facendolo essere parte di quel che si racconta, allora si riconosce davvero nella sua essenza, libera e autentica. Ecco forse cosa intendeva Gaber (che il teatro lo conosceva bene) quando affermava che libertà è partecipazione.
Massimiliano Beneggi