È in scena fino al 10 dicembre al Teatro Nazionale di Milano, dopo i debutti di Torino e Roma, Cabaret (produzione Fabrizio Fiore Entertainment). Lo spettacolo è atteso successivamente ad Ancona, Genova e Firenze prima di un’intensa programmazione 2024. Ecco la recensione.

IL CAST

Arturo Brachetti, Diana Del Bufalo, Christian Catto, Christine Grimaldi, Fabio Bussotti, Giulia Ercolessi, Niccolò Minonzio. Regia di Arturo Brachetti e Luciano Cannito.

LA TRAMA

Nella Berlino del 1930, arrivano da tutto il mondo per vivere una delle città più internazionali, ricche di lavoro e allegria. Anche Clifford, giovane scrittore americano pieno di speranze, è approdato in Germania cercando ispirazione. Gli basta però una sera al Cabaret Kit Kat Club per intuire che l’atmosfera libertina non sia di grande aiuto in tal senso. Il locale è gestito da un presentatore irriverente ed esigente con i ballerini e le ballerine: i doppi sensi sono all’ordine del giorno con grande ironia, ma soprattutto libertà mentale e fisica. A Clifford, che in passato sembrerebbe avere avuto relazioni omosessuali, questo clima non urta, per quanto provi a stare un po’ sulle sue. Al Kit Kat conosce Sally, una ragazza inglese che per la prima volta in vita sua scopre con un colpo di fulmine verso Clifford cosa potrebbe essere l’amore. Sally fa di tutto per conquistare lo scrittore, fino a trovare il modo di condividere con lui la stanza in una misera pensione. Lì, tra una anziana proprietaria innamorata di un fruttivendolo ebreo e un’altra cliente di facili costumi che porta un via vai di gente, Sally e Clifford sembrano iniziare a gettare le basi per il loro futuro insieme. Poi ecco che la storia cambia improvvisamente: si forma il partito nazista, la libertà sociale diventa un’utopia e l’amore una faccenda burocratica più che sentimentale. Il Cabaret continua a esistere ma le ballerine hanno perso la loro verve e le loro esibizioni si trasformano in uno sfogo di rabbia inesprimibile altrimenti. Anche l’ambiguità sessuale fino a prima all’ordine del giorno senza scalpore, è diventata improvvisamente un tabù.

LA MORALE

Se c’è un’epoca che possa dimostrare più delle altre quanto la politica influisca nelle nostre vite, quella è sicuramente rinvenibile negli anni ‘30. La libertà umana è da sempre legata a fattori sociali e forse, per ciò stesso, mai davvero libera. L’ideale sarebbe poter pensare realmente con la nostra testa, senza lasciarci condizionare da altro che non siano i nostri sentimenti, con coraggio.

IL COMMENTO

Cabaret è una storia tristemente romantica, commovente e persino dura nelle tematiche che vengono affrontate. Eppure l’atmosfera che permea tutta la serata riesce a essere di piena allegria: balli, canti, travestimenti (costumi di Maria Filippi) e trasformazioni regalano sorrisi a volontà, in un clima di spettacolo a 360 gradi. Gli attori sono al tempo stesso dunque ballerini e cantanti: straordinari performer coordinati in formidabili coreografie da Luciano Cannito. La scenografia (di Rinaldo Rinaldi) si sposta continuamente su girevoli che consentono di avere quattro ambientazioni diverse, più quella fissa del duomo di Berlino dove suona la band dal vivo (diretta da Giovanni Maria Lori). Si esce dal teatro con la musica da cabaret nelle orecchie e la consapevolezza di avere al tempo stesso percepito una storia vera e dal grande significato morale. Una storia che non va cancellata, ma che si può raccontare senza pietismo proprio come fa Cabaret. Il finale è toccante, drammaticamente vero e struggente. Lo spettacolo fa superare anche un tabù: quello di mostrare una bandiera nazista davanti al pubblico. La storia d’altra parte va raccontata tutta e per quello che è, senza censure, visto che qui proprio di libertà si parla. Non è mai facile proporre un musical che abbia anche una trama consistente: questo spettacolo è una bella occasione, anche per scoprire che in fondo gli ideali e le speranze della società non è erano molto diverse novant’anni fa.

IL TOP

La grinta di Diana Del Bufalo (nell’assolo finale è micidiale), che si esprime anche in una straordinaria voce capace di cantare qualunque cosa rendendola un capolavoro, si unisce a quella del bravissimo e intenso Christian Catto per formare meravigliosi duetti. Diana è sempre molto vivace, con quell’ironia innata che la contraddistingue e una concentrazione che non perde dall’inizio alla fine. Cosa si può dire ancora su un’artista così completa, che ormai conoscono tutti? Si può solo applaudire, perché quello di Sally (sebbene con sfumature complicate) forse non è il ruolo più difficile dello spettacolo, ma il carattere che dà la Del Bufalo è inimitabile. Parliamo ormai di un grande nome che il pubblico cerca sempre di più nei teatri.

LA SORPRESA

Ogni tanto ti soffermi su due protagonisti che parlano, ed ecco sbucare fuori Arturo Brachetti. La sua impronta si vede tutta. I trasformismi non sono molti, ma tanto bastano a mandare in visibilio la platea che applaudire ogni volta. Più che sui numeri a cui siamo abituati (e sempre sorprendenti), Brachetti in Cabaret si concentra su balli e canzoni dotate di straordinaria allegria. Un saltimbanco geniale: la trasformazione di Hitler in un diavolo non è una trovata originale ideologicamente, ma lo diventa nel contesto teatrale proposto da questo artista incredibile e dell’energia di un eterno ventenne. Tra lui e il cast una bella sinergia, che non può che sorprendere in ogni esibizione.

Massimiliano Beneggi