Annagaia Marchioro presenta al Teatro Gerolamo di Milano il 27 e il 28 gennaio, due suoi cavalli di battaglia, nel primo è affiancata da Roberta De Stefano, che con lei 10 anni fa ha fondato la compagnia “Le Brugole” e nel secondo è diretta da Serena Sinigaglia, in entrambi non mancano personaggi e situazioni esilaranti sia che si parli di amore o di disturbi alimentari.

Si comincia con Metafisica dell’amore.

La trama. Un amore da ridere. Ma anche no. Un’esilarante galleria di personaggi che raccontano i tabù e i paradossi di questo vitale sentimento. E soprattutto delle donne. Che amano le donne che amano altre donne che amano tutti gli altri. L’amore è universale, tutti provano le stesse emozioni, gli stessi piaceri, gli stessi dolori: lui e lui, lei e lei, lui e lei. Coppie diverse, identiche emozioni. Una legge, almeno in apparenza, uguale per tutti… finché non vengono a galla le differenze che fanno la differenza.

Le attrici protagoniste raccontano e si raccontano, trasformandosi e dando vita a una carrellata di
personaggi in cerca dell’anima gemella: la psicopatica, la milanese, l’artista, la fricchettona, la ex… Uno spettacolo dedicato a chi ha ancora voglia di amare e ridere di questo disgraziato dolore che a volta ti prende allo stomaco senza distinzione di sesso, di razza, di lingua o di religione. Un linguaggio fresco, ironico e divertito che permette di affrontare ogni declinazione dei sentimenti.

Lo spettacolo, che ha debuttato nel 2013, ha vinto il festival di Asti Scintille.

Si prosegue con Fame mia – quasi una biografia.

La trama. Liberamente ispirato ad un romanzo di Amélie Nothomb, alla quale si deve la più profonda ispirazione e l’ironia tagliente, nasce uno spettacolo comico e poetico, molto applaudito: racconta la storia di una donna che ha tanta fame, così tanta da smettere di mangiare. Fame mia parla di fragilità e riscatto. Dolce, dolcissimo, umile e fresco riscatto. Una vicenda particolare che racconta una storia universale, guardata dagli occhi di una bambina che diventa donna. Un inno alla vita che ti riporta alla vita e ti fa sentire meno solo, meno spaventato, meno infelice.

Siamo a Venezia, nel pieno degli anni ’80, e come l’acqua dei canali scorre il racconto dove veneziano e italiano si alternano, passandosi la staffetta linguistica e segnando l’identità dei personaggi che affollano la memoria della protagonista. Tutta l’Italia si affaccia alla tavola di questo racconto: un’insegnante pugliese, la migliore amica napoletana. Non potrebbe che essere così, dato che in Italia si parla così tanto di cibo. E’ una storia che ha a che fare con i disturbi alimentari, ma non parla di disturbi alimentari. Mangi e smetti di mangiare perché vuoi sbranare la vita, perché non accetti il compromesso, perché brami l’assoluto. E senza mai prendersi troppo sul serio, senza retorica, il racconto biografico raggiunge un lieto fine, sbilenco e imperfetto, ma capace di confortarci: ce la possiamo fare.