Il 31 gennaio compie 90 anni Armando Celso. L’attore, noto anche come Ossario, è uno dei caratteristi più conosciuti e apprezzati. Con il suo sguardo tenero e al tempo stesso furbo e con quella parlata che mischia un po’ di dialetto ligure e un po’ di quello lombardo, Armando Celso è entrato nella storia del teatro (è uno dei pionieri del Derby di Milano) e del cinema. Solo con uno sguardo sa raccontare tantissimo, facendo divertire il pubblico. Storici i suoi siparietti con Teocoli e Boldi, nel ruolo del campanaro. Ma anche la sua partecipazione in taluni film di successo: su tutti Il ragazzo di campagna, Asso, Attila flagello di Dio.

Autore anche di alcune canzone (si ricordi Coccodì coccodà, lo abbiamo intervistato per questo importante compleanno: umiltà, simpatia ed energia sono le qualità che ancora oggi fanno di Armando Celso uno dei personaggi più preziosi a cui fare riferimento.

Armando, che valore ha avuto in questi 90 anni lo spettacolo per lei?

Un valore vitale: per me è sempre stato qualcosa di meraviglioso dal quale è impossibile non farmi affascinare. Subito dopo la guerra entrai in una compagnia teatrale di bambini. Il mio sogno era recitare nel cabaret: ecco, posso dire di avere realizzato il sogno della mia vita in questi 90 anni.

Chi la fece esordire?

Cominciai a Genova con Paolo Poli, grande Maestro e persona eccezionale. Mi poi trasferii a Milano e lì con Teocoli, Boldi e Funari iniziò una nuova epoca.

Cosa rappresenta per lei il soprannome di Ossario?

Me lo diedero negli anni del Derby, perché pesavo solo 60 chili. Mi ha sempre divertito molto, perché oltretutto era un nome che mi caratterizzava. Mi diverte ancor di più pensare che ci sia ancora gente che mi chiama così! È un segno distintivo che nessuno mi toglie e poi anche a ripeterlo Ossario fa già ridere!

Lei è un caratterista come ormai se ne vedono pochi.

Eppure quello del caratterista è un ruolo importante: in genere facevo la spalla di Teocoli, ma in alcuni sketch capitava fosse lui a fare da spalla a me. Non è sempre facile accettare che la battuta più forte ce l’abbia qualcun altro, ma quando c’è alchimia viene tutto in modo naturale.

Vi sentite ancora con Teocoli?

Certo! Ci telefoniamo spesso. È un amico vero, leale e costante.

Qual è la differenza tra la comicità di ieri è quella di oggi?

A una certa età si critica tutto e non si dovrebbe, ma con tutto il rispetto devo ammettere che non mi piace la comicità di oggi. La trovo troppo demenziale.

Ci sono scene dei film anni ‘80 che sono diventate cult: tra queste anche quella de Il ragazzo di campagna al passaggio del treno. Potevate immaginare che stavate scrivendo un pezzo di storia della commedia con quella scena?

No assolutamente non ci si accorgeva di questo. Al contrario, era quasi commovente l’idea che per i contadini il massimo del divertimento fosse vedere il treno. Di certo non si intuiva che negli anni sarebbe diventata una delle gag più amate.

Genova o Milano?

Entrambe. Amo Genova perché ci sono nato, c’è la mia famiglia: mia madre era una Parodi, dunque una genovese doc. Amo però anche Milano perché mi ha dato ciò che non mi ha dato Genova.

Ossia?

Anni fantastici, di grandi soddisfazioni. Ho sofferto tantissimo agli esordi. Quando partii da Genova con la valigetta, venni accolto a Milano in via Salutati dall’amico Gianni Magni. Sono stato in casa sua per un po’ di tempo, persona generosissima. Abbiamo lavorato insieme, anche con Cino Tortorella. E poi ritrovai Paolo Poli, con cui laborammo nella compagnia al Teatro Gerolamo.

I tuoi sketch passano ancora spesso sulle tv private: evidentemente funzionano ancora.

Devo ringraziare tanto Antenna 3 perché lì ebbi un trampolino di lancio meraviglioso. Non è stata una grande carriera, ma mi è bastata per farmi sentire molto amato dalla gente.

Massimiliano Beneggi