Va in scena al Teatro Litta di Milano (corso Magenta) dal 6 all’11 febbraio Ricino, di Antonio Mocciola e Pasquale Marrazzo. Sul palcoscenico Diego Sommaripa, Antonio D’Avino, Vincenzo Coppola:

La trama. La crudele persecuzione della popolazione omosessuale alla fine degli anni ’30 è al centro di Ricino.

In un’Italia che subiva, quasi senza rendersene conto, la deriva della democrazia. In assenza di leggi punitive, centinaia di “invertiti” venivano allontanati per anni dalla vita sociale, essendo ritenuti infettivi.

Ricino parla dell’abuso di potere e delle miserie deontologiche che spingono un regime a sottomettere minoranze, costringendole a negare la propria identità.

Nel grande affresco di un dramma di portata epocale, Pasquale Marrazzo ed Antonio Mocciola scelgono una traccia quotidiana, spicciola, persino familiare. Perché è dai piccoli dolori, dai troppi non detti, che nacque la repressione, autorizzata dal clero silente e da una società poco coesa. Eppure, isolandoli, il Fascismo ha paradossalmente fatto sì che si creasse una coscienza di genere che prima nessuno aveva osato soltanto pensare.

In Italia, con le leggi razziali del 1938, il regime fascista stabilisce che gli uomini accusati di sessualità non conforme alla norma, gli invertiti, vengano isolati al confino sulle isole, che verranno dette sataniche: Tremiti, Ponza, le Egadi.

L’omosessualità maschile viene considerata un peccato, una vergogna, un atteggiamento perverso contro la morale comune, nonostante la definizione di omosessuale fosse piuttosto incerta, ponendo una differenza di valore e, quindi, di reato e di pena, tra l’omosessuale attivo e quello passivo.

 

Le leggi fasciste non definivano esattamente il reato di omosessualità, ponendolo tra quelli contro il costume e declinandolo ogni volta in maniera diversa a seconda delle necessità accusatorie.

L’accusa di costumi sessuali deviati divenne anche un modo per porre al confino molti nemici del regime, cosicché sulle isole si ritrovarono omosessuali e prigionieri politici.

Quale omosessuale, almeno una volta nella vita, non è stato costretto a smentire il proprio essere per poter “sopravvivere”? La vergogna di essere quello che si è nasce dall’abuso per eccellenza, ed è il risultato di un percorso in cui la vittima si sottomette al pensiero dominante del carnefice.