È in scena al Teatro Franco Parenti di Milano, fino al 4 maggio in prima nazionale, Chi come me (produzione Teatro Franco Parenti) di Roy Chen, con l’adattamento di Andrée Ruth Shammah. Ecco la recensione.

IL CAST

Sara Bertelà, Paolo Briguglia, Elena Lietti, Pietro Micci, Amy Boda, Federico De Giacomo, Chiara Ferrara, Samuele Poma, Alia Stegani. Regia di Andrée Ruth Shammah

LA TRAMA

Cinque adolescenti sono ricoverati in un centro di salute mentale, dove condividono la stanza, le loro angosce e le relative ossessioni. Si trovano quindi Alma, la ragazza che ha subito quattro anni una violenza sessuale ed è crollata in una depressione maniacale accompagnata da bipolarismo; Barak, il narcisista che sfoga le sue emozioni in una violenta rabbia; Tamara la ragazza che vorrebbe essere chiamata Tom e che, vivendo una disforia di genere, si è emarginata dalla società che la vuole vedere solo in quel corpo in cui è intrappolata; Ester vive una schizofrenia in seguito al rifiuto delle avances dello zio, morto di infarto pochi secondi dopo; infine Emanuel è un ragazzo geniale, con la sindrome di Asperger, che nella sua precisione scientifica memorizza ogni cosa pretendendo che tutto resti al proprio posto, senza accettare i cambiamenti della vita. A seguire da vicino i cinque ragazzi è il dottor Baumann, che organizza per loro un corso di teatro tenuto dalla signorina Dorit, un tempo anche lei ricoverata nello stesso reparto. Ogni lezione inizia sempre con un gioco che aiuta i protagonisti a conoscersi: una persona in piedi e in mezzo ad altre sedute, completa la frase “Chi come me”, esprimendo qualunque passione o stato d’animo lo riguardi, chi si riconosce si alza dalla sedia e quello che non trova posto per sedersi di nuovo diventa il nuovo oratore che racconterà qualcosa di sé in una frase. Il gioco diventerà un codice del reparto, esattamente come lo è l’abbraccio virtuale che si sono inventati per esprimersi affetto, senza toccarsi. Baumann e Dorit hanno metodi diversi, ma convergono su un punto fondamentale: per comunicare coi ragazzi, bisogna usare il loro medesimo linguaggio, fatto di quella ironia che talvolta, adoperata su certi temi delicati, può apparire tanto inquietante quanto tenere. L’importante è non chiamare i disturbi come malattie: sono piccole sfumature che fanno la differenza. Tra mille difficoltà, anche quelle più imprevedibili, Dorit vuole mettere in piedi uno spettacolo teatrale, a cui tiene possano partecipare nel pubblico anche i genitori dei ragazzi. Appaiono però più problematici loro dei figli…

LA MORALE

“Prendete un telescopio, misurate le distanze
E guardate tra me e voi, chi è più pericoloso?”, cantava Simone Cristicchi in Ti regalerò una rosa. La frase torna più che mai attuale in questo testo, perché se è vero che sarebbe sbagliato negare le problematiche di questi ragazzi, sarebbe ancor più folle non ammettere che la causa dei disturbi psichiatrici arriva dalla società che, inconsapevole, lancia impulsi dalle svariate interpretazioni a soggetti molto fragili. Così certi genitori, dall’alto della loro maturità adulta e della loro presunta normalità, non solo non riescono a essere un buon esempio per i figli, ma diventano addirittura la causa dei disagi giovanili. Ossessioni psicologiche sono all’ordine del giorno e molto più comuni in ciascuno di noi rispetto a quanto non immaginiamo, tuttavia riconoscerle è già il primo passo per convivere con esse evitando di sentirsi sbagliati in questo mondo.

IL COMMENTO

Chi come me è una storia emozionante, appassionante e riflessiva. Mano a mano si svelano le personalità dei cinque ragazzi, a cui ci si affeziona e rispetto ai quali si crea sempre più vicinanza nel corso dello spettacolo. L’opera dovrebbe rappresentare, almeno nelle sue intenzioni, l’ultima di Andrée Ruth Shammah ed è un vero capolavoro proprio dal punto di vista organizzativo, perché la co-fondatrice del Parenti sceglie la nuova sala del teatro, la A2A, per questo spettacolo. Si tratta di una sala da 150 posti con una scena al centro di due tribune che costringono gli spettatori a guardarsi in faccia. Occupando anche qualche spazio in mezzo al pubblico, gli attori coinvolgono gli spettatori in un dialogo Io-Tu mai visto fino a prima: tutti fanno parte, anche involontariamente, della scenografia. Tutto questo aiuta a sentirsi più vicini ai pensieri dei giovani protagonisti, che osservano direttamente la platea guardando negli occhi il pubblico. Ecco che, partecipando per alzate di mano al gioco del Chi come me, anche per gli spettatori c’è un coinvolgimento (non invadente) che avvolge tutti in un gruppo di cui si è fatto parte per tutta la serata. È il senso autentico del teatro che, non a caso, ha un significato centrale nella stessa storia raccontata. Lunghi applausi finali: quando c’è lo zampino della Shammah, il risultato è sempre carico di originalità.

IL TOP

Impossibile dire chi sia il più bravo tra i cinque ragazzi, perché il talento che mostra ognuno di loro è strepitoso ed è persino commovente la passione per il teatro che ciascuno riesce a trasmettere. Federico Di Giacomo, nei panni di Emanuel, è a tratti il più comico e si guadagna l’applauso spontaneo dopo una performance di recitazione e memoria che diverte e lascia a bocca aperta. Chiara Ferrara fa vivere il dramma di Alma con una sbalorditiva capacità di creare lacrime sul suo volto, passando un attimo dopo all’euforia. Impossibile non provare empatia e tenerezza con Barak (Samuele Poma), Ester (Alia Stegani), Tom (Amy Boda). Bravissimi Elena Lietti e Paolo Briguglia, che alternano il rapporto coi ragazzi a quello col pubblico, verso il quale si rivolgono anche come narratori delle situazioni. Una lezione di vita,in un teatro coinvolgente come questo, è rara da trovare.

LA SORPRESA

I genitori dei ragazzi sono tutti interpretati da due soli attori: Sara Bertelà e Pietro Micci. Espressivi, completano e chiariscono l’interpretazione che si deve dare al disturbo di ciascuno dei loro figli. Sul finale però, pur molto riflessivo, si crea un sorprendente divertimento: tutti presenti allo spettacolo, i genitori si ritrovano nello stesso momento e quindi Bertelà e Micci, con una rapidità a cambiarsi vestiti oltre che intonazioni vocali, passano da un personaggio all’altro in pochi secondi. Su un palcoscenico frontale tutto questo diventerebbe ancora più comico, creando la sorpresa negli ingressi che si susseguono repentinamente, ma anche in questo spazio così organizzato non si perde la magia del momento. In mezzo alla scena sono in quattro (loro due, insieme a Lietti e Briguglia) ma il pubblico ormai vede e sente almeno dieci personaggi contemporaneamente. Quando gli attori sono bravi, si stimola la fantasia del pubblico.

Massimiliano Beneggi