Cantautore di successi storici in grado di andare oltre il tempo della loro composizione, vincitore da autore di un Festival di Sanremo nel 1989, Franco Fasano è uno dei maestri della nostra musica pop da conservare sotto chiave. Non lo inventiamo certo ora: se Ti lascerò è uno dei duetti più cantati ancora oggi nei karaoke a distanza di 30 anni, Mi manchi e Io amo sono tra le canzoni d’amore più dedicate di sempre, lo si deve all’immensa armonia della poesia che Fasano sa scrivere con le sette note. Potrebbero non avere nemmeno parole i suoi brani, che sarebbero comunque in grado di parlare più di chiunque altro. Invece è sempre stato supportato da penne straordinarie che hanno saputo impreziosire le sue opere.

fasano

Nel 1995 arriva una svolta nella sua carriera: contattato da Alessandra Valeri Manera, che non lascia sfuggire nulla al caso, inizia a scrivere sigle per i cartoni animati, e sono un successo via l’altro: Calimero, Piccoli problemi di cuore, Beethoven, Rossana, sono solo alcune delle clamorose hit scritte dal nostro ospite di oggi. Con lui vogliamo quindi continuare il nostro viaggio nella storia della tv dei ragazzi, fatta per i piccoli ma destinata a essere una grande tv. L’assoluto professionismo voluto fortemente dalla Valeri Manera nel suo team, porta così uno dei più grandi compositori della musica alla Rti. Il passaggio alle canzoni per bambini, come ci spiega lui stesso, non fu immediato, soprattutto dopo avere guadagnato un prezioso settimo posto nel ’92 in un Sanremo che ritrovava le eliminazioni. La storia, però, lo avrebbe premiato: sette vittorie allo Zecchino d’oro (più una morale con Il katalicammello) e migliaia di dischi venduti fanno di lui uno degli autori più amati anche dai ragazzi.

Franco, quando nel 1995 Alessandra Valeri Manera ti chiese di scrivere le sigle per i cartoni animati, per te era un’avventura completamente nuova.

Assolutamente. Era la prima volta che scrivevo su commissione. Fino a quel momento non avevo mai scritto una canzone apposta per qualcuno, nemmeno quando si trattava di Sanremo. Ho sempre scritto canzoni, pensandole per la mia voce, di cui mi piacevano l’argomento e la storia del testo. Fu Adelio Cogliati a portarmi dal grande Antonio Marrapodi, il primo direttore artistico a credere in me, con cui facemmo una serie di provini: le canzoni sulla mia vocalità non ebbero successo immediato, e solo in un secondo momento andarono ad altri interpreti.

Tutti i più grandi successi scritti da te quindi arrivarono a Sanremo quasi per caso…

Sì, Io amo la portò Fausto Leali (nel 1987, ndr) ricevendola da Cutugno che l’aveva trasformata, ma l’avevo scritta insieme a Italo Ianne sette anni prima. Mi manchi e Ti lascerò sono canzoni che musicai su lettere di diari privati di Franco Berlincioni.

Che cosa significò per te la chiamata di Alessandra Valeri Manera?

Fu l’inizio di una seconda fase della mia carriera. Lei aveva scoperto che Fasano aveva scritto un anno prima Goccia dopo goccia per lo Zecchino d’oro insieme a Emilio Di Stefano: io ero in attesa del mio primo figlio, quindi in uno stato d’animo per vedere il mondo con altre prospettive. si chiese se si trattasse dello stesso Fasano di cui aveva i dischi a casa. E così mi contattò. Io ero sotto contratto editoriale con Marrapodi, ma lavorare con Rti, fino a settembre ’95 non sarebbe stato possibile essendo legato a un’altra casa editrice. Quindi non si sarebbe potuto fare…

E invece?

Marrapodi mi consigliò di non rinnovare con la Publishing. Io ero indeciso perché avevo appena ripreso a cantare in prima persona. Nell’89 avevo cantato infatti E quel giorno non mi perderai più, che doveva essere inizialmente quella interpretata da Leali e dalla Oxa, ma non convincendo nella loro versione la portai io. Era difficile quindi pensare di lasciare proprio in quel momento la Publishing. Marrapodi però, che oltre a essere una grandissima persona era un direttore decisamente lungimirante, insistette per convincermi a svoltare da un punto di vista professionale, perché la musica sarebbe andata in crisi: ognuno avrebbe voluto scriversi da solo le canzoni. Era il 1994, e già aveva capito i cambiamenti che ci sarebbero stati nel mondo musicale. Quindi non rinnovai con la Emi Publishing.

Scrivevi le musiche avendo davanti il testo della canzone?

Alessandra mi mandava la sinossi della storia e il titolo. Io non vedevo nemmeno una puntata dei cartoni. Il testo lo scriveva lei successivamente, basandosi su una musica che voleva gli cantassi in inglese maccheronico per potere inserire le parole corrette e usava un metodo tutto suo.

Quale fu la prima sigla commissionata?

Mi venne chiesto di scrivere la canzone del ritorno di Calimero. Per la verità in quel momento non mi era ancora scaduto il contratto, ma siccome la serie sarebbe andata in onda dopo, Alessandra Valeri Manera mi propose di cominciare a pensarci. Gli mandai una mia proposta ma me la bocciò, poi un’altra e me la bocciò. Alla terza opzione che le inviai mi disse: Tu hai un’idea di un Calimero degli anni ’60, ma Calimero non sarà più il remissivo piccolo e nero. Bisognava quindi avere una contemporaneità legata a questo cartone, che io non avevo visto ma che in effetti presentava un Calimero completamente divers: era energico, andava sullo skate…Insomma, tra una canzone bocciata e un’altra, arrivammo a soli 15 giorni dalla messa in onda. Iniziavo a sentire una certa pressione a cui non ero abituato. Per fortuna nel frattempo avevo scritto Allacciate le cinture viaggiando si impara e Un fiocco per sognare, un fiocco per cambiare che mi avevano dato una una certa fiducia.

Come arrivò l’ispirazione giusta?

Uscii dall’ufficio di Alessandra, ben sapendo che se non avessi trovato la canzone adatta, sarebbe stata fatta scrivere a qualcun altro. Salito in macchina, alla radio partì un pezzo con una cassa in 4 da discoteca: sul ritmo che non aveva musica iniziai a cantare Coccoccò Calimero dance. Trovai questa chiusura rotonda sul ritornello e chiamai subito Alessandra. Mi chiese se fosse possibile registrare un provino, io alzai la radio mettendo il telefono vicino e iniziai a cantare. Alessandra non mostrava immediatamente entusiasmo, quindi si limitò a dirmi: “Convoca il coro dei bambini”. Aveva capito che avevo fatto centro: la sua professionalità e grandezza umana furono in quel caso nella completa fiducia senza nemmeno volere sentire le strofe. Feci allora il provino in finto inglese, glielo mandai e lei ne fece un testo. Quello fu il mio primo grande successo cantato da Cristina D’Avena, che andò alla grande in classifica vendendo 160 mila copie di Fivelandia.

Fu un successo talmente forte che non solo è ancora cantata dai bambini, ma persino dagli adulti.

Fu coinvolgente per tutti: una delle prime volte in cui misi gli adulti che cantavano insieme ai Piccoli Cantori di Milano. Mi piaceva l’idea dei paperi che ballavano coi pulcini. Quello che non tutti sanno è in quella canzone c’è anche Alex Baroni. Lui in quel periodo voleva cantare una mia canzone. Ci eravamo dati un appuntamento a Milano sotto alla Coin di piazzale Loreto. Una volta in macchina accesi l’autoradio, misi la cassetta per fargli sentire il suo brano, ma sbagliai lato e partì: Calimero Calimero simpaticissimo pulcino sorridente... Lui entusiasta mi disse: “Ma che figata!” “E’ una nuova sigla, sto chiamando anche degli adulti per fare il coro”. Alex quel punto si propose: “Voglio esserci anch’io!”. Quindi nel coro degli adulti, presente nella versione lunga fatta per la baby dance, c’è anche la sua voce, oltre a quella di Silvio Pozzoli.

Cosa cambia la dinamica del successo tra una canzone scritta per un pubblico adulto e una sigla per i bambini, che non hanno la critica degli adulti ma proprio per questo non danno indicazioni immediate sull’apprezzamento del brano?

Le canzoni forti hanno un successo che dipende anche da altri fattori: dalle puntate del cartone, dall’orario in cui vanno in onda e dal fatto di essere trasmesse completamente due minuti all’inizio e, a volte, alla fine dell’episodio. La storia del cartone rapisce, ma la canzone ha le caratteristiche essere una hit dentro. Quando finiscono i trenta minuti del cartone, la canzone è ciò che ne rimane e che ci si può portare dietro. I bambini a scuola non raccontano la sinossi di un anime, ma ne cantano la sigla: c’è bisogno di una frase cantata.

Quali differenze ci sono nella scrittura tra una sigla e un’altra perché possano funzionare?

La scrittura cambia a seconda dell’obiettivo che si ha con il cartone. Beethoven nasce come uno scherzo, era una specie di remake del film, e quindi la canzone è più scherzosa. Piccoli problemi di cuore, invece, nascendo come cartone animato, aveva bisogno di avere un certo dna musicale. Era importante la nostra capacità di intuire l’associazione tra la musica e la storia.

Piccoli problemi di cuore ha tutte le caratteristiche di un brano d’amore per adulti.

Avevo un po’ paura a proporre una canzone fatta in quella maniera che mi sembrava troppo pop, meno per bambini. Era un brano che sarebbe stato adattissimo anche alla Pausini: invece Alessandra mi affidò quel brano proprio per presentare quell’aspetto romantico che talvolta anche autori strepitosi dell’epoca non riuscivano a trovare perché non erano così avvezzi in questo genere oppure lavoravano magari un po’ consumati dalla routine.

Beethoven parte con calma per crescere sempre di più di intensità, una canzone che ha del geniale.

Cristina in quella canzone si superò, fu straordinaria. Mi piaceva rendere questo senso di musica che parte tranquilla per esprimere il disastro finale nell’aumento di velocità. Mi invaghii artisticamente di Pietro Ubaldi in Un oceano di avventure,: in lui ci sono Celentano, Jerry Lewis, Mel Brooks, ovvero tutto quello che ai grandi piace, nella versione bambino. Avevo bisogno di una sua parte nell’arrangiamento. Inizialmente doveva fare la parte seria del padre di Beethoven. Gli dissi: vai dietro al microfono facendo finta di essere Beethoven che ascolta la canzone, e quando lo ritieni opportuno ti inserisci con dei versi. Quando partì la base, già cantata da Cristina, e lui alla fine del primo verso abbaiò a tempo, mi rotolai dalle risate. Aveva azzeccato completamente il senso del brano. E quello che si sente nel disco è esattamente la prima registrazione fatta: fu buona la prima.

Rossana vede la presenza di Cristina D’Avena con Giorgio Vanni: anche quello fu un successo straordinario, ancora oggi tra le più cantate ai concerti di Cristina. Avevi fatto centro anche lì…

Ti dirò di più: fui io a proporre di unire le voci di Cristina e Giorgio, trattandosi di un brano che vedeva un avvicendamento tra maschi e femmine. Mi aveva sempre rapito il sound delle canzoni di Giorgio Vanni e Max Longhi, quindi pensavo sarebbe stato di straordinario impatto un brano già così forte di suo: lo avevo già notato qualche anno prima con Anna Oxa e Fausto Leali, quando un pezzo è già forte, rende al 200% se viene cantato da due voci che rappresentano il top della musica. Parlando con Cristina e Giorgio mi resi conto che non avevano mai cantato insieme fino a quel momento solo perché nessuno aveva mai osato sfatare il tabù di proporglielo. Da quel momento fecero tanti duetti insieme. In quell’occasione condivisi quindi l’arrangiamento con Max Longhi: non mi è mai importato nulla di essere l’unico. Ho sempre voluto ottenere il miglior risultato possibile, accettando tutte le eventuali correzioni.

Le canzoni che avrebbero meritato maggior successo di quello ottenuto quali furono?

Fl-Eek stravaganza, fatta tipo Neri per Caso solo con le voci, fu eccezionale: uno dei testi più ironici scritti da Alessandra Valeri Manera, da ascoltare assolutamente. La cantò Pietro Ubaldi con un paio di interventi di Laura Marcora, direttrice dei Piccoli cantori di Milano. Però le mie preferite rimangono Un incantesimo dischiuso tra i petali del tempo e Ascolta sempre il cuore Remì. Purtroppo questa, essendo la seconda versione rispetto a quella originale, non ebbe la fortuna che avrebbe meritato: un brano da chansonnier francese che mi piace tantissimo.

Il lavoro pedagogico dietro alle canzoni chi lo faceva?

Per la proprietà transitiva decideva tutto Alessandra. Lei sceglieva i maestri per scrivere i pezzi, fornendo una sinossi della sceneggiatura e due pagine di glossari sui caratteri dei personaggi che mi studiavo attentamente. Una volta che verificava che la musica era nell’emozione giusta del cartone, Alessandra poteva scrivere le parole inserendo anche quelle nascoste nella storia che solo lei, che era il deus machina di tutto e curava anche i doppiaggi, conosceva perfettamente sapendo come usarle nel gioco della sigla.

Tu, Alessandra Valeri Manera, Cristina D’Avena, la gang di Bim Bum Bam, siete tutti giovani: se c’è chi lavorò per fare grande la tv dei ragazzi, perché questa non esiste più?

A un certo punto Alessandra venne via da Mediaset: perdendo un riferimento così importante, si andò in una fase emotivamente discendente. Le sigle iniziarono a non durare più di un minuto e andavano in onda solo all’inizio, dimenticandosi appunto quell’aspetto fondamentale che dicevamo avere queste canzoni. la tv stava cambiando, dando spazio ad altre cose che oggi vediamo…Sono cambiate le priorità televisive credo.

Quali saranno i prossimi successi di Franco Fasano?

In questa quarantena sistemando tra alcuni scatoloni mi sono usciti anche testi inediti scritti anni fa da autori importanti, che non musicai all’epoca. La cosa straordinaria è che mi vengono in mente le frasi musicali che ai tempi avevo congelato. Vedremo quindi se ne nascerà qualcosa…

Massimiliano Beneggi