Tredici mesi di Covid, tredici mesi senza spettacoli. Sembrava che con l’autunno, dopo gli spettacoli all’aperto dell’estate scorsa, si potesse finalmente ripartire; in molti avevano presentato la nuova stagione 2020/2021 con tanta speranza, e invece paradossalmente i teatri sono ancora chiusi. Blindati, considerati luoghi pericolosi, nonostante sia chiaro a tutti che basterebbe fare come nelle chiese (sempre aperte): posti distanziati e pubblico rigorosamente con la mascherina.

Certo, essendo ridotto a metà il pubblico pagante, si potrebbero fare spettacoli perlopiù con compagnie poco numerose, ma sarebbe già un grande risultato per l’attività teatrale sostanzialmente ferma da febbraio 2020. Nemmeno il dibattito sul Festival di Sanremo ha solleticato l’idea di un reale cambiamento: anzi, al contrario si è pensato a impedire il pubblico anche all’Ariston piuttosto che cominciare da lì per riaprire ovunque. Si era parlato del 27 marzo per rivedere le sale teatrali e cinematografiche piene, ma chiaramente non sarebbe mai stato possibile: l’ennesima presa in giro.

Basterebbe davvero poco, eppure sembra che quello dello spettacolo sia un mondo che non interessa alla politica. Ne abbiamo parlato con chi ovviamente non può pensarla in questo modo, ossia l’assessore alla cultura e allo spettacolo di Milano, Filippo Del Corno. Da dieci anni impegnato a Palazzo Marino prima con la giunta Pisapia poi con Beppe Sala, Del Corno da due giorni responsabile per la cultura del Partito Democratico a livello nazionale, dopo la riorganizzazione avvenuta con la nuova segreteria di Enrico Letta.

Assessore, il governo aveva parlato del 27 marzo come data di riapertura dei teatri: non era ovviamente credibile, visto che già si parlava di fare tornare mezza Italia in zona rossa. Senza quindi illusioni che suonino di presa in giro, quando si potrà realmente ipotizzare una riapertura delle sale?

E’ una domanda complessa che mi costringe a dividere la risposta su due piani.

Anzitutto bisogna fare riferimento all’osservanza del dato normativo: la riapertura è consentita solo se le regioni entrano in fascia gialla. Difficile fare ora una previsione quindi dell’andamento epidemiologico, se si pensa che abbiamo raggiunto in breve tempo la fascia gialla per tornare dopo pochissime settimane in fascia rossa: questo è un esercizio che peraltro non sta in campo alla politica ma alla scienza e alla medicina. Aggiungo che questo meccanismo è comunque secondo me sbagliato: la determinazione che dovrebbe assumere il governo, in concerto con gli enti locali, è la definizione di un calendario per le attività culturali che segni una data dopo la quale la ripresa non è più reversibile.

E come si fa? E’ da un anno che si parla di uscita dal tunnel, e invece siamo ancora qua, dopo le vaghe speranze dell’estate scorsa.

Va definita una data anche lontana nel tempo oltre la quale si pensa ragionevolmente non sia necessaria una nuova chiusura. In GB hanno fatto così dove hanno stabilito un calendario in quattro tappe: ovviamente la ripresa degli spettacoli dal vivo è l’ultima tappa.

Quali sono le responsabilità della Regione quali quelle del Comune?

I Comuni non hanno alcune responsabilità, l’unica cosa che potrebbero fare le Regioni è di esprimere determinazioni più restrittive di quelle che sono loro attribuite: anche in fascia gialla potrebbero imporre ordinanze più restrittive e vietare la riapertura delle attività culturali.

Insomma è quasi tutto in mano al Governo.

Sì, ma credo sia anche giusto. Quello che invece ritengo sbagliato è che le decisioni non vengano concertate con i Comuni. Per quanto riguarda le politiche culturali, sono i Comuni a gestire i musei, le biblioteche, i teatri attivi; i sindaci sono presidenti dal punto di vista giuridico delle fondazioni ecosinfoniche. La maggior parte del peso organizzativo ed economico è sulle spalle dei Comuni. Il fatto che le decisioni siano prese solo dal Governo, in assenza di una concertazione con i Comuni, è un grave errore. E’ uno dei motivi per cui abbiamo costituito un coordinamento informale, ma molto attivo, dei dodici assessori alla cultura delle città capoluogo più rilevanti d’Italia per portare al governo la nostra voce.

Parla naturalmente dell’Anci, costituitosi quasi un anno fa. Ci può dire invece quali sono le misure di sostegno che il Comune offre ai teatri? In molti, specie quelli più piccoli, rischiano di chiudere per sempre.

Il Comune di Milano ha realizzato nel 2020 la conferma di tutti i finanziamenti ordinari alle attività teatrali e spettacolari anche in assenza di attività possibile. Abbiamo stabilito la misura straordinaria pari a due milioni e mezzo del cosiddetto piano Cultura, grazie alle risorse del fondo di mutuo soccorso raccolto sulla base di donazione di privati, cittadini e imprese. Sul 2021 stiamo confermando tutte le linee di stanziamento di sostegno allo spettacolo in assenza di attività: non chiederemo ai teatri di rendicontare quello che hanno fatto perchè non è ovviamente possibile farla se non in streaming, che valutiamo come elemento di redicontazione e garantiremo analogo finanziamento.

Settimana scorsa è stato approvato l’emendamento Milano che spettacolo. Di cosa si tratta?

E’ una delibera che definisce un progetto complessivo di azioni per aiutare la ripresa di attività di spettacolo, dal quale c’è uno stanziamento di 150mila euro complessivi che andranno soprattutto ad aiutare i teatri nell’erogare accessi agevolati. Ossia forme di biglietti scontati o gratuiti che serviranno a riprendere le attività non appena si potrà riaprire. Saranno quindi biglietti pagati con i fondi Milano che spettacolo.

Che ricordo ha di quanto andava a teatro con la scuola?

Le esperienze di spettacolo che ho vissuto grazie alla scuola sono sempre positive e credo siano ancora oggi importantissime. Sarò sempre promotore del teatro per le scuole.

Ricorda qual è il primo spettacolo teatrale al quale ha deciso di assistere nella sua vita?

Ho sempre vissuto in una famiglia di grande frequentazione teatrale: andavo a vedere gli spettacoli con i miei genitori sin da piccolo, mi è difficile ricordare quale sia stato il primo che decisi di guardare. Però ricordo perfettamente qual è stato il primo a cui scelsi di tornare pochi giorni dopo avere assistito a una rappresentazione: una versione molto curiosa de I masnadieri di Schiller, ambientata negli anni Settanta regia di Nanni Garella con Fiorenza Marchegiani e Patrizia Zappa Mulas. Uno spettacolo molto potente dove ci si figurava quei masnadieri come terroristi. Avevo sedici, diciassette anni, e dopo averlo visto coi miei genitori tornai con i miei amici: mi aveva coinvolto tantissimo!

Massimiliano Beneggi