È tornato sulla scena musicale con un brano tutto suo, interpretato dalla sua stessa voce dopo aver regalato vere perle poetiche a tanti artisti (da Cinque giorni a L’elefante e la farfalla fino a L’impossibile vivere o Che cuore). Vincenzo Incenzo, autore per Michele Zarrillo, Renato Zero, Antonello Venditti, Patty Pravo e moltissimi altri, ha da poco lanciato Pornocrazia, un brano denuncia sulla difficoltà di oggi a pensare con la propria testa.
Un manifesto pop della società assolutamente orecchiabile e ritmato, che aiuta a rivedere il concetto stesso di volgarità. Cosa fa davvero male a questo mondo perverso? Ce lo dice lo stesso Vincenzo Incenzo in questa intervista.

Vincenzo, finalmente torna sul mercato una musica che abbia un vero messaggio sociale.
Oggi la canzone ha fatto un passo indietro, scollandosi di dosso il suo vero ruolo sociale. Si è messa in una confort-zone, dove si affrontano raramente i temi dell’attualità in maniera diretta. Volevo quindi fare quello che oggi non si fa più: creare quasi un oggetto, una pietra da tirare.
Usi parole forti in questo brano. Cos’è la pornocrazia?
L’uso vorticoso delle parole non arriva da una velleità di fare retorica, ma dalla necessità di dire tante cose vere in poco tempo. Volevo fare una fotografia di questo basso impero che stiamo attraversando dove ci promettono che la felicità sia quella che viene pubblicizzata e promessa. A me, invece, sembra più un inferno mascherato da Paradiso. Credo non ci sia nulla di più pornografico. La pornografia non è una persona nuda. Oggi c’è una reale pornocrazia, che comprende molto altro. Sono i prodotti a comprarci, mentre le immagini ci spiano: è difficile mantenere un senso identitario. In tutto questo, quindi, si muove la mia canzone. È una grido di libertà di espressione, senza presunzione di voler cambiare nulla in questo mondo.
È più un allarme o un urlo di speranza?
L’allarme c’è in tutta la canzone, anche se tutto è stemperato dall’ironia. Nel finale si parla del sogno di una dignità universale, che non so da dove possa generarsi per la verità visto quanto è complicato il momento globale ora.
Però se lo hai cantato un po’ ci credi…
Si deve sperare in questa vita! Ci sono correnti nuove: oggi i giovani affrontano il tema del clima, le battaglie sull’identità di genere. Prima tutto questo sembrava sparire. C’è insomma un mondo che ancora vuole porre la persona al centro: questo fa pensare che ci sia una speranza di dignità universale. Se non ci fosse speranza non cercheremmo di sollevare domande.
Durante il lockdown tutti cantavano “Andrà tutto bene”, ma siamo tornati peggio di prima. La musica ha ancora il valore di unire in una ideologia comune e positiva?
Qualcuno ha detto che la scrittura è la prosa del mondo. Io credo tantissimo in questa cosa. L’onda rap a inizio anni 2000 aveva raccolto il testimone dei cantautori, ma ormai sono rimasti in pochi a parlare di attualità e contemporaneità. Molte canzoni si sono fermate al contingente, invece secondo me non bisogna fermarsi a quel momento. L’anno che verrà di Dalla, per esempio, sarà sempre l’anno che verrà. Bisogna guardare in prospettiva, costruendo canzoni che scavalcano l’attimo per sottolineare il loro motivo di esistere. Ne gioveremmo tutti, perché non esistono forme di comunicazione immediate come la musica, che può davvero essere sentinella del suo tempo.
E con i social come la mettiamo? Prevale la diseducazione alla qualità del suono o la capacità di arrivare immediatamente a tutti?
Non sono critico con le sfide della contemporaneità. Le accetto e cerco di coglierne l’aspetto positivo. Si è abbassata la qualità, quindi anche l’ascolto è molto compromesso, anche a livello di immagine. Noi per esempio non abbiamo una lettura del colore così ampia come ce l’aveva Van Gogh che vedeva 100 tipi diversi di verde e non ragionava con tavolozze di Photoshop. Questo quindi è un limite. Ma l’ascolto permanente può essere un vantaggio: avere sempre una fonte di suono aiuta la musica. E questo non toglie l’esigenza per il pubblico del ripristino di una qualità: lo dimostra la richiesta di vinili e concerti live. E dico di più, anche la scienza dice che tutto sommato vanno bene le nuove piattaforme.
In che senso?
Leggevo che la nostra soglia di ascolto è ridotta a 7 secondi. Infilarsi in piccole soglie di attenzione è quindi comunque sempre utile. Dopo un anno e mezzo di silenzio spero naturalmente che il mio album sia ascoltato in silenzio assoluto! Ma non si può avere tutto: si guadagna in comunicazione e si perde in qualità.
D’altra parte anche a Sanremo 1995, se ben ricordo, la tua Un altro amore no (cantata da Lorella Cuccarini) nella prima serata fu eseguita due volte per un problema tecnico in Lombardia. Insomma i problemi di qualità aiutano la comunicazione da sempre!
È vero, non ci avevo pensato!
A proposito, Sanremo 2022?
C’è una canzone, che non so però se verrà proprio proposta per Sanremo. Ho la fortuna di lavorare con artisti che non hanno bisogno del Festival, quindi penso intanto comunque ad altre situazioni. So che in questo momento il Festival è costruito più su personaggi che su canzoni, ma spero un giorno di tornare a gareggiare anche come interprete. Per me fu un viatico fondamentale in anni in cui era al top: Baudo scelse tante canzoni scritte da me. Andarci con un proprio progetto sarebbe bellissimo.
Ora c’è da pensare anche a un tour all’estero con Pornocrazia.
Prima della pandemia avevo creato un ponte con l’America Latina. Mi candidai compilando una domanda su Internet per una manifestazione in Colombia. Mi chiamarono per il mio curriculum: in Italia questa meritocrazia è ormai scomparsa. Dopo il primo concerto durante il Carnevale sono stato contattato da varie agenzie e ho fatto tantissime altre serate. In primavera si riprenderà la tournée in Colombia e in Cile. A dicembre saremo a Napoli, Roma, Milano, Palermo.
Massimiliano Beneggi