Quanto è attuale Euripide: la paura della morte nella doppiezza umana. Al Parenti in scena “Troiane”

Fino al 13 febbraio, al Teatro Parenti di Milano, è in scena Troiane, tratto dal leggendario lavoro di Euripide. Nell’adattamento di Angela Demattè sono sul palcoscenico Elisabetta Pozzi, Graziano Piazza, Federica Fracassi, Francesca Porrini, Alessia Spinelli. Regia di Andrea Chiodi.

La grande epopea degli sconfitti troiani, paradigma straziante e altissimo di ogni vinto nella Storia.

In un allestimento innovativo che unisce attori e pubblico, un testo immortale che va al cuore dei grandi temi della nostra civiltà: il rapporto tra essere umano e destino, il lutto e il compianto, i legami familiari e generazionali, che eventi enormi e dolorosi travolgono, lasciando chi resta nello smarrimento e nell’affannosa ricerca di un senso.

Foto © Masiar Pasquali

Così presenta lo spettacolo la drammaturga Angela Demattè:

“Come si può oggi rappresentare una tragedia dopo averne vissuta una ma senza averla vista, senza aver compianto i morti, in altre parole, dopo aver avuto di essa solo un simulacro virtuale? Vite umane ridotte a tamponi, incertezza sull’importanza di parole come: carità, gesto, affetto, compianto, rito, vicinanza. Paura della morte. Ma è nel sentirsi mortale che l’uomo diventò umano molte migliaia di anni fa: inventò parole, gesti e riti che potessero dialogare col mistero. Nel dire questo ci sentiamo come Cassandra, eppure continuiamo ad urlare: l’uomo dentro è bestia e angelo, testa e visceri e bisogna fidarsi che la parola si aggrappi da qualche parte e prima o poi diventi carne. Eppure, anche noi artisti abbiamo acceso il reale per sorbire la tragedia per essere sicuri che da qualche parte qualcuno consumasse al posto nostro il calice del dolore. Qualche volta ci siamo quietati. Perché non era nostra la responsabilità, non potevamo fare niente. Siamo stati bambini obbedienti. Con la voglia di essere incoscienti. Cosa potevamo raccontare? Quel che vuole l’autore, il pubblico, il teatro è che vada avanti la storia: perché si dica chi è il cattivo e ci si liberi dal male. Da quando Omero scrisse “del pelide Achille l’ira funesta” la fama funziona, la bellezza funziona, ma se uno ce l’ha, infiamma l’invidia e dunque accade che sia sterminato. La trama perfetta della storia d’Occidente. Ma c’è qualcosa di nascosto da trovare in quei resti di parole sacre che Ecuba pronuncia: questa ricerca è il nostro estremo tentativo di guardare quel che siamo oggi”.

Comunicato stampa ufficiale

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