Meglio il rischio della novità o dell’abitudine? Monti-Turchetta agrodolci a teatro -RECENSIONE

Fino al 20 febbraio è in scena, al Teatro Carcano di Milano, La parrucca (Produzione Nidodiragno/CMC) di Natalia Ginzburg, una commedia agrodolce che vede protagonisti Maria Amelia Monti e Roberto Turchetta. Lo spettacolo, pieno di ironia e leggerezza, è tratto da due opere dell’autrice, che vanno a susseguirsi formando un’unica storia: Paese di mare e La parrucca. Ecco la nostra recensione.

Foto di Marina Alessi

IL CAST

Maria Amelia Monti, Roberto Turchetta. Regia di Antonio Zavatteri.

LA TRAMA

Betta e Marco sono sposati da sette anni. Lui, sempre inquieto, non riesce a trovare pace con il lavoro, che continua a cambiare, a causa della sua insoddisfazione cronica e dei repentini contrasti con i superiori. E dire che, quando inizia un percorso, è sempre pieno di entusiasmo al punto da buttarsi a capofitto nelle situazioni senza nemmeno intravederne i possibili ostacoli. Quelli che, al contrario, attirano subito l’attenzione di Betta. Lei, perennemente spaventata dalle novità, ama crogiolarsi nelle comodità dell’abitudine. I continui spostamenti di albergo in albergo, a causa dei cambiamenti di lavoro del marito, iniziano a starle stretti, specie perché dettati dalla necessità di risparmiare. I coniugi infatti devono fare i conti con le difficoltà economiche, che li costringono talvolta a chiedere aiuto alla madre di Betta, provieniente da una famiglia borghese ma comunque non più benestante come un tempo. Per la prima volta si trovano in un appartamento, che si presenta però fatiscente e ben lontano dall’essere vivibile. L’ottimismo di Marco è legato principalmente all’incontro con un amico d’infanzia idolatrato e mitizzato, che non vede da 14 anni e potrebbe consentirgli di lavorare nella sua fabbrica. La mansione che dovrebbe svolgere non è abbastanza chiara e le incertezze di Betta si rivelano ben presto sensate: l’atteso possibile datore di lavoro e la compagna, infatti, hanno problemi più gravi degli stessi amici. L’incontro non avverrà mai e questo costringerà Marco a decidere di lasciare presto la casa per una nuova grande occasione; a quel punto Betta si è ormai abituata a frequentare nuove persone e a vivere in quell’appartamento.

Nella seconda parte, ci si catapulta in avanti di qualche anno. Betta si trova in una stanza d’albergo a pettinare una parrucca, regalatale dal marito tempo prima per ovviare alla difficoltà di gestire la sua acconciatura. E’ stato l’ultimo, forse l’unico, significativo regalo di tutta la loro relazione. Ora, tra i due coniugi, le cose non vanno affatto bene: sono diventati genitori, ma la volontà non è certo stata di lui. Marco, infatti, è sempre più nervoso e le discussioni con la moglie si sono traformate in violenti litigi. Tanto da portare Betta a guardarsi intorno…

LA MORALE

Differenze caratteriali e di ceto sociale possono riaffiorare in qualunque momento in ogni coppia, insieme a fallimenti personali la cui causa viene volentieri rinfacciata all’altra persona. Basterebbe prendersi ciascuno le proprie responsabilità, cercando un equilibrio tra la smodata voglia di cambiamenti con altrettanti rischi e la paura delle novità che diventa l’anticamera della noia. I problemi arrivano quando ci si mette a confronto con l’economia. Per realizzarsi, tutto ha un prezzo: i soldi non fanno la felicità, ma la povertà ancora meno…

Foto di Marina Alessi

IL COMMENTO

Una commedia degli anni ’70, che il pubblico del Carcano conferma di saper leggere come tale. E non solo per la facilità a comprendere che un affitto mensile di 70 mila lire per un appartamento sia una cifra piuttosto importante. Nel lungo monologo finale di Betta, infatti, si catturano tutte quelle ipocrisie di una società che non poneva indignazione per le violenze domestiche e familiari. La donna doveva quasi sentirsi in colpa per aver spinto il marito a tanta nevrosi. Oggi, dunque, si ride un po’ più amaramente, ma a consentire un’interpretazione del testo in chiave più comica ci pensa la sempre straordinaria Maria Amelia Monti. Un’ora e venti di spettacolo godibile e piena di spunti di riflessione.

IL TOP

Maria Amelia Monti sa essere travolgente reggendo la scena con una mimica facciale oltre che un linguaggio, ormai talmente suoi da appartenerle in modo inscindibile e inconfondibile. C’è una spontaneità nella recitazione, che consente una meravigliosa empatia con la platea. Di questi tempi, abituati come siamo a vedere personaggi estremamente artefatti o spettacoli decostruiti, non è niente male.

LA SORPRESA

A Turchetta basta un solo atto, per definire ogni contorno della personalità di Marco e farlo essere presente anche nell’assenza del secondo atto. L’adattamento non prevede alcun riposizionamento storico della vicenda, che quindi rimane originale anche nelle battute, tanto semplici in alcuni casi quanto apprezzabili proprio per questo. Emerge così in maniera preponderante il talento di due grandi attori. Alla faccia di chi dice che il teatro italiano è in crisi.

Massimiliano Beneggi

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