Cabarettista, simbolo della comicità milanese oltre che icona di Non Stop, Drive In, Sabato al Circo e di tutta la tv anni ’80/’90. Grandissimo attore e altresì spettatore appassionato di teatro, Enrico Beruschi ci racconta in questa intervista il lato comico di Gianfranco Funari, che oggi 21 marzo avrebbe compiuto 90 anni. Lui, in effetti, Funari lo conobbe proprio a inizio carriera al Derby nella veste oggi dimenticata da tutti, quella di comico…

Come descriveresti Gianfranco Funari?
Era un fulmine di guerra!
Quando lo conoscesti?
50 anni fa, quando iniziai la mia carriera al Derby, lui era uno dei protagonisti stabili come Walter Valdi e Gianni Magni. Ormai Cochi e Renato erano partiti per la tangente con la loro carriera e passarono lì il loro ultimo mese a novembre 1972 quando esordivo anch’io per scherzo, con la voglia di tornare ragazzino. Funari era questo romano che, dopo un passato da croupier, esprimeva la sua capacità oratoria sul palcoscenico, dove era una forza della natura. Lui faceva il Nerone di Petrolini a suo modo. Io vivevo un momento assolutamente non previsto della mia vita, quasi non capivo nemmeno dove fossi. Mi accorgevo che stavo scalando i gradini del cabaret, senza però sapere bene cosa fosse. Funari mi dava forza e mi stimolava a proseguire perché credeva in me.
Com’era il vostro rapporto?
Eravamo caratteri completamente opposti, ma gli volevo davvero bene. Lui esplosivo, sempre accesissimo quando parlava. Io molto più pacato e lento. Andai anche qualche volta ospite nelle sue trasmissioni a Porta Lodovica.
Vi prendevate mai in giro con la vostra verve?
Certo. Lui in particolare scherzava su di me per poi parlarne bene. La mia ragazza, che poi sarebbe diventata mia moglie era veramente bellina. Funari andava da lei, seduta in platea, e le diceva: “Ma te come fai ad avere come moroso quello lì? Ma guarda come è brutto!”. Poi aggiustava il tiro: “Guarda che uomo adorabile, guarda che tempi che ha”.
Quei tempi così diversi dai suoi, eppure alla stessa maniera vincenti.
Lui infatti con mia moglie scherzava: “Il repertorio che Beruschi racconta in tre quarti d’ora, io ci metterei in cinque minuti per esprimerlo”. Io ho sempre parlato molto lentamente, a inizio carriera ci giocai sopra, anche un po’ per la paura di essere di fronte al pubblico. E’ il mio modo di fare, ancora oggi che siamo tutti in giro con le mascherine la gente mi riconosce per la voce. A volte alcune donne di quarant’anni mi fermano: le figlie devono pensare che le madri siano rimbambite per dire a un signore vecchio con la barba: “Lei era il mio idolo!”.
Avevi intuito subito le potenzialità di un Funari che sarebbe diventato poi showman televisivo?
Si vedeva, era un intrattenitore nato. Brillantissimo, raccontava cose da ridere ma anche serie. Mi rendevo conto che sarebbe andato avanti, al contrario di tanti altri: quando uno è forte si nota. Sono ancora in contatto con altri che, come me, cominciarono quell’esperienza e poi si perdettero. Su venti che si ricordano, ce ne sono duecento che sono partiti per quell’avventura. Funari è uno dei pochi che si ricordano.
I talk show di Funari qualcuno li criticava per l’eccessivo caos, eppure oggi ci sarebbe da leccarsi le dita con una tv così ordinata. Ce ne si accorge sempre a posteriori…
Adesso quel talk show sarebbe il più sobrio di tutti. Merito della sua grinta nel tener banco: non faceva parlare tutti insieme. Oggi guardare i talk show è diventato impossibile. Io tento, lasciando aperto il giornale per giustificare la mia coscienza di essere davanti alla tv, ma non riesco, mi annoio da morire.
Perché piaceva alla gente, ma i dirigenti televisivi lo costrinsero a traslocare sulle reti private?
Perché era controcorrente, difficilmente addomesticabile. Più che un attore era un fine dicitore, un grande parlatore. Preparatissimo. Personaggi come lui, che combattevano contro i mulini a vento, facevano paura alle aziende.

Com’è lo stato di salute del teatro oggi?
Oggi il teatro arranca, ha il fiato grosso. Ultimamente ho trovato un solo sold out, con Cochi Ponzoni. Uno spettacolo impegnativo, lui è sempre stato un po’ più attore…
Un altro della famiglia del Derby. Avete segnato un’epoca…
Era un gruppo incredibile: Boldi arrivava dalla batteria, Jannacci dalla chitarra. Io arrivavo come ragioniere…ero il pesce fuor d’acqua.
Eppure poi entrasti nella storia con interpretazioni memorabili. Ancora oggi il web impazzisce per le tue canzoni, da Sarà un fiore a Urca che bello.
Quella canzone non l’avevo molto considerata, fu la sigla di un programma per bambini. Ci sono tante cose che non immaginavo potessero restare nella memoria. L’altro giorno un frate mi ha fatto avere un sacco di video e canzoni che non ricordavo nemmeno di aver fatto. Sorprendente. Mi ha dato tutto su una chiavetta, era la prima volta che ne usavo una. Supponevo ci fossero buchi nel computer perché ne avevo sentito parlare, ho dovuto chiedere a mio figlio come funzionasse! Tutto molto bello, ma sono cambiati i tempi della comicità…
In che senso?
Oggi se io andassi a Zelig a fare uno sketch mi massacrerebbero con il mio modo di parlare lentamente.
Secondo me invece hai creato una maschera che funzionerebbe ancora. Anzi, se partecipassi a Lol, basterebbero due bocche storte alla Beruschi per farli ridere tutti. Tu guardi Lol?
No, perché non ho Amazon Prime. Ma da quel poco che mi capita di vedere nelle trasmissioni mi viene da domandarmi: “Ma cosa c’è da ridere?”. Certo, devo essere onesto. La mia fortuna, come quella di chi lavorò con me in quegli anni, fu avere una regia creativa meravigliosa come quella di Enzo Trapani, che mi fece esprimere in un certo modo. Forse anche quello mi aiutò a fare una comicità che qualcuno ancora ricorda.
Massimiliano Beneggi