Maria Teresa Ruta è una delle conduttrici più amate da sempre. Eclettica, originale, eternamente curiosa. Legata ai valori della famiglia, non ha mai nascosto le sue fragilità, mostrate anche con grande autoironia. Così tutto diventa un sinonimo di forza. Oggi, reduce del suo nuovo libro Ricordateci così, scritto con Savina Sciacqua (Om Edizioni), ricorda con noi in questa intervista Gianfranco Funari, che il 21 marzo 2022 compirebbe 90 anni.

Maria Teresa, come ti piace ricordare Funari?

Un giornalista, anzi un giornalaio, funanmbolico, anticipatore dei tempi. Ha creato uno stile con programmi che ancora vediamo e copiamo, con Abboccaperta e tante altre trasmissioni. Tendeva ad andare oltre tutto quello che di solito la tv vuole far vedere.

Nel 1997 tu conducevi A tu per tu con Antonella Clerici. Lui venne come ospite e in qualche mese le cose si ribaltarono: divenne lui il presentatore..

Lo aggiunsero come ospite ufficialmente per un discorso contrattuale, essendo noi già due. Era chiaro che una personalità come la sua non potesse essere semplicemente ospite. Io e Antonella eravamo una strana coppia ma tutto sommato ben assortite: con le sue tette e le mie gambe facevamo insieme una bellissima donna. Lei, però, è sempre stata più determinata di me, quindi non accettò il ruolo di Funari, che sembrava volerci scalzare dal nostro programma prevaricando. Così Antonella se ne andò e io rimasi.

Fu la prima volta che vedemmo Maria Teresa Ruta potersi esprimere in tutta la sua autoironia, costantemente pungolata da Funari…

E’ vero, lì gettai le basi per le mie corde teatrali e radiofoniche. Fino a quel momento ero sempre stato ingessata nel ruolo di conduttrice pura. Da lì arrivò la mia parte più ironica, ancor più sfruttata in seguito diventando ospite dei programmi, quindi senza il peso di certe responsabilità.

Un episodio divertente di quella edizione?

Una volta Funari disse: “Se siete donne mettetevi il reggicalze”. Non me lo feci ripetere due volte ed entrai in studio in reggicalze. Per qualcuno era il trash, ma io mi divertivo e non trovavo niente di male nel poterlo fare.

Non ti imbarazzavano certi suoi modi di fare?

No, perché si giocava sempre. Io ho sempre messo famiglia e affetti ai primi posti della mia vita. Anche questo mi ha aiutato a lasciare correre su tante cose che non mi convincevano nella mia carriera. Ci sono cose sempre più importanti. Funari poteva permettersi il lusso di dire “Non ho niente da perdere”. E sapeva trasmettere questo pensiero anche a chi, come me, con una famiglia e dei figli aveva responsabilità diverse. Sapeva giocare.

Una conduttrice affermata come te cosa poteva imparare ancora da lui in quel programma, che peraltro lanciò televisivamente anche Raffaele Morelli?

La rapidità di intercettazione del sentimento delle persone: lo percepiva subito. Era difficile lavorare con lui, che aveva dei tempi incredibili, ma quel che mi piaceva di più era la sua capacità di far parlare la gente senza essere servile coi potenti.

Sulla sua tomba Funari ha scritto “Ho smesso di fumare, ma nemmeno da qui mi taccio”. Tu hai appena scritto un libro dal titolo Ricordateci così…

Il mio sarà “Ho bevuto tutta la vita d’un sorso, peccato mi sia rimasta ancora tante sete”. Siamo simili. E sono sicura che a Funari sarebbe piaciuto un libro così anticonvenzionale. Una frase che poteva essere sua e ho fatto mia è “Che senso avrebbe la vita se non ci fosse la morte?”. Una grande noia. Allora, con la giornalista Savona Sciacqua, abbiamo raccontato i cimiteri più divertenti, più vivi che ci sono nel mondo.

Più divertenti in che senso?

A Copenaghen la tomba di Andersen si trova nel centro e intorno ci sono cespugli a forma di elefanti, chitarra, unicorno. Lì sono tumulate persone ricordate per la loro particolarità: quello che aveva la collezione di dischi, quello appassionato di monetine di tutto il mondo, il chitarrista…La gente gioca nel parco, i palloni vanno sulle tombe e i bambini calpestano i fiori e prendono la palla serenamente.

Come è nata l’idea di un libro così heideggeriano?

Viaggiando molto ho notato sempre tantissime differenze nel percepire un evento come la morte. Ogni Paese ha la sua tradizione. Nell’isola di Sulawesi ho vissuto la morte di un capotribù, di cui mi portarono a vedere la salma mummificata. Tutti presentavano un regalo, io portai il caffè per esempio. C’erano tende come se fosse una Festa dell’Unità. Il Messico dedica un mese intero ai morti e le tombe vengono allestite con lumini e luci colorate. Si tirano fuori i teschi, che vengono spolverati. Vengono fatti nuovi sudari ricamati. La gente va lì a pregare e a mangiare ricordando le persone amate in vita. Sono cose che, probabilmente molti non immaginano nemmeno siano possibili…

Massimiliano Beneggi