Vittorio Feltri: Funari mi lanciò in tv. Vi racconto perché mi manca-INTERVISTA

Il 21 marzo 2022 avrebbe compiuto 90 anni Gianfranco Funari. Showman, autore di tante trasmissioni di successo, il lungimirante Funari si inventò il talk show che metteva a confronto persino la gente comune con i politici. A fine anni ’80 ospitò per la prima volta in televisione una delle penne più intelligenti e ironiche della nostra cultura, il direttore di Libero, Vittorio Feltri, che ce lo racconta così in questa intervista.

Chi era Gianfranco Funari?

Era un talento naturale, che seppe strutturarsi da solo: questo basterebbe già a destare in me grande ammirazione nei suoi confronti. Non posso dimenticare che fu lui a farmi esordire in televisione quando ero direttore de L’Europeo. Spesso mi invitava nelle sue trasmissioni e avevo capito subito che aveva una abilità particolare: sapeva sintonizzarsi con la gente comune, senza atteggiarsi a intellettuale. Una pratica odiosa che, invece, usano quasi tutti quelli che si affacciano sul video. Funari aveva una genuinità che andava sempre a segno e il pubblico non poteva che seguirlo con simpatia e interesse.

Cosa seppe raccontare meglio?

Fu il primo a mettere a nudo il sistema politico italiano in televisione. Lo fece con grande abilità, senza mai darsi delle arie: anche questo lo portò a un successo, che ho sempre considerato meritatissimo.

Nel mondo giornalistico non vi era una certa invidia per un “giornalaio” che talvolta sapeva informare con quella libertà, proprietà di linguaggio e appeal superiori a chiunque altro?

Non ho mai avuto percezione di questo, non dal giornalismo perlomeno essendo lui prima di tutto un intrattenitore televisivo: c’era ammirazione e, qualche volta, antipatia nei suoi confronti, perché il successo qualche volta suscita sentimenti negativi. Anche Funari quindi fu soggetto a questa regola.

Perché Funari non funzionò come direttore de L’Indipendente?

Il giornalismo scritto deve rispettare delle regole, seppur elastiche, con cui lui non aveva mai avuto nulla a che fare. Quando fu chiamato all’Indipendente dopo che io me ne ero andato, il primo titolo che fece sulla prima pagina fu “Buona domenica”: non propriamente una scelta giornalistica! Ma, d’altronde, Funari era proiettato su una comunicazione spettacolare: aveva però una sensibilità giornalistica in televisione, questo gli va riconosciuto senza dubbio.

Siete entrambi sempre stati protagonisti di un’informazione che non disdegna momenti molto divertenti. Se ne ricorda uno relativo a una sua ospitata da Funari?

Certo. C’era in studio Ugo Intini, figura di spicco del socialismo. Mentre Funari lo intervistava, quello iniziò a sparare alcune balle, anche comprensibili dal punto di vista umano. Mentre lui parlava io a un certo punto lo interruppi e cominciai a gridare: “E’ falso! E’ una bugia! E’ falso””. Fu un momento molto spettacolare: non si usava comportarsi così in televisione. A quel punto Intini cominciò a balbettare e sospese la sua requisitoria, decisamente costruita in modo non veritiero.

E così Funari si inventò una nuova tv fatta di dibattiti e Feltri sdoganò un modo di fare l’ospite . Poi in tanti hanno cercato di imitarvi, ma la qualità è sempre più bassa…

In tv da qualche anno, oggi più che mai, regna il conformismo, sia lessicale che concettuale. Caratteristica che non apparteneva certo a Funari. Purtroppo la situazione televisiva attualmente sta decadendo e, di conseguenza, il pubblico diminuisce nonostante argomenti importanti come il Covid e la guerra. La gente è infastidita dai luoghi comuni, le solite facce e i discorsi ripetitivi che hanno un po’ ucciso la tv. O almeno certe trasmissioni…

Andando avanti di questo passo è destinato a sparire l’approfondimento televisivo?

No, si riprenderà, per l’amor di Dio…

Funari oggi lo ricordiamo tutti come un esempio da imitare, eppure varie circostanze lo costrinsero ad andare in onda sulle tv private minori. Per riprendere un suo editoriale di qualche giorno fa, possiamo dire che in televisione accade come in politica, per cui prima diamo la patente agli incapaci e poi ce ne pentiamo guardando con nostalgia al passato?

Il conformismo è talmente ben radicato in questa società, per cui ci dimentichiamo che siamo proprio noi a scegliere personaggi che poi ci risultano odiosi. Quando votiamo seguiamo impulsi totalmente irrazionali. Il problema è che, anziché fare mea culpa, siamo sempre tutti con il ditino alzato, pronti ad accusare tutti tranne che noi stessi.

Questa che stiamo vivendo è la prima guerra importante all’epoca dei social. Le immagini arrivano direttamente dai soldati che filmano con i cellulari. E’ indice di un decadimento anche del giornalismo?

Purtroppo negli ultimi anni è avvenuto questo fenomeno, che riguarda sia il giornalismo della carta stampata che quello televisivo: non si va più sui posti. Molti sono abituati a starsene seduti alla scrivania, lasciandosi rimbambire dal computer, prima fonte da cui apprendono l’accadimento di certi fatti. Quindi copiano certe notizie fondamentali e fanno un “pezzullo” riassuntivo, privo di pathos, che allontana la gente dalla carta stampata. A questo si aggiunge il trionfo dei social, che liquidano le cose anche con battute spiritose o, il più delle volte, melense: così si addormentano i cervelli.

Quanto le mancano oggi personaggi come Oriana Fallaci e Gianfranco Funari, per il loro modo, seppur diverso, di raccontare gli avvenimenti?

Tantissimo. Loro camminavano tra la gente, sentendone e assecondandone gli umori. Si acquistava il quotidiano o si accendeva la tv con il desiderio di seguirli, perché ci davano degli spunti per continuare a ragionare con la nostra testa. Questo, oggi, non avviene più, perché c’è un immobilismo nelle redazioni, non vi è più nessuno che faccia l’inviato. Questo è un impoverimento della nostra professione. Risultato, nessuno più compra i giornali. Ho lavorato 15 anni al Corriere, ho girato mezzo mondo andando a vedere sul posto i fatti per raccontarli al meglio possibile. La Fallaci lo ha fatto per anni in modo memorabile e, quindi, ce la ricordiamo ancora. Oggi ci sono pochissimi giornalisti di talento vero, che sappiano fare i cronisti in modo pieno.

Ce ne dica uno.

Al Corriere c’è Aldo Cazzullo che è molto bravo, ma ora hanno burocratizzato il suo ruolo, facendolo vicedirettore, quindi chiaramente anche lui diminuirà la sua attività di reporter.

Massimiliano Beneggi