Da giovedì 24 novembre all’11 dicembre, al Teatro Ciak di Roma, va in scena La donna che visse due volte (Vertigo), prodotto da Ubik produzioni e Teatro Stabile del Giallo. Un capolavoro intramontabile di Alfred Hitchcock, che vedrà protagonisti questa volta Ruben Rigillo e Linda Manganelli, con Fabrizio Bordignon ed Enrico Ottaviano su un testo riadattato da Masolino D’Amico. Diretti da Anna Masullo, gli attori riproporranno una storia ampiamente conosciuta dagli amanti del genere noir, ma sempre avvincente.

Sofferente di vertigini dopo un incidente in servizio, John “Scottie” Ferguson lascia la polizia e accetta di lavorare per un vecchio compagno di scuola che gli chiede di sorvegliare la moglie Madeleine che in ricorrenti stati di incoscienza sembra posseduta dallo spirito di Carlotta Valdes, sua bisnonna morta suicida un secolo prima. Ferguson resta affascinato dall’infelice donna e quando è costretto a intervenire per salvarla da un tentativo di suicidio in mare tra i due ha inizio una storia d’amore. Ma una tragedia sta per sconvolgere le vite di entrambi.

A parlarci di questo spettacolo è proprio la protagonista, Linda Manganelli, che con il marito Michele Montemagno è anche direttrice dello stesso Ciak.

Linda, come arriva questa storia famosissima dal cinema al Teatro Ciak?

Avevamo messo in scena allo Stabile del Giallo anni fa. Quello che era iniziato come un esperimento, si rivelò qualcosa di più. Ci era piaciuto e ora, con uno spazio più grande al Ciak e con la possibilità di studiare più a fondo la tematica dello spettacolo ci siamo detti: “Perché non rifarlo?”. Siamo consapevoli di intraprendere davvero una grande avventura: abbiamo di fronte a noi un film con protagonisti giganteschi, per cui il raffronto è sempre delicato. La nostra idea è proprio quella di evitare un raffronto. Anche per questo ci siamo basati molto sul romanzo, in parte diverso dal film. Affrontiamo questo testo con molta umiltà e al tempo stesso la voglia di fare qualcosa di qualità.

Vedremo effetti speciali?

Niente di folle, ci piace proseguire sulla strada di un teatro che resti molto semplice. Useremo solo qualche videoproiezione, che non andrà comunque a coprire lo spazio scenico, ma collaborerà con esso. Questa è una storia complicata: ci sono molti spazi descritti, che ricreare a teatro è difficile: speriamo di esserci riusciti con il linguaggio che abbiamo sempre usato nel nostro stile.

Anche il comunicato stampa annuncia lo spettacolo come una storia sull’amore più che una storia d’amore. Una sfaccettatura così ampia, che sfocia nella narrazione di un’ossessività e sfiora il maschilismo, è più complicata da raccontare oggi o è più facile?

Più complicata: prima di tutto si racconta un amore totale e totalitario, completo. Non siamo più abituati a sentimenti così grandi e a credere in questi. Un amore gigantesco che in effetti qui diventa un’ossessione: raccontiamo quindi anche la parte malata di tutto questo, con un thriller da risolvere. Penso che il pubblico potrà appassionarsi molto.

Prendendola un po’ alla larga, il sentimento di vendetta in una realtà che potrebbe essere risolta mettendo in primo piano l’amore verso l’altro, ascoltandosi, potrebbe essere un monito anche per ciò che sta accadendo ora nel mondo?

È una possibile interpretazione, anche se sicuramente non è la principale. Il bello del teatro, tuttavia, è proprio il fatto che uno spettacolo non abbia solo una chiave di lettura. Ognuno nel pubblico ritrova sul palcoscenico una realtà, dove riesce a recepire un sentimento o un altro, a seconda di ciò che sta vivendo.

Sei ormai una veterana di gialli a teatro. Come mai questa passione per il genere?

Nasce dal mio background: io sono nata artisticamente nello Stabile del Giallo, una piccola compagnia romana ormai storica specializzata in gialli. I miei primi spettacoli, appena uscita da scuola, a vent’anni furono proprio con loro. Fa parte della mia vita, quasi per casualità. Il Ciak nasce anche con la volontà di continuare a far vivere la realtà dello Stabile: nelle nostre stagioni il pubblico troverà sempre almeno due gialli. E poi lo ritengo particolarmente interessante come genere: si riesce a coinvolgere una tipologia di pubblico a volte spaventato dal teatro classico. Li si avvicina con prodotti nuovi, dai ritmi dinamici.

Mi rivolga ora alla Manganelli direttrice del Ciak. A un anno di distanza dalle riaperture, come è andata la ripresa del Ciak?

Siamo ancora nella ripresa, l’anno dei teatri ha vissuto una crisi prolungata fino a giugno, costringendo all’uso delle mascherine. Sono state cose talmente surreali che una parte della nostra mente le vuole cancellare, quindi se le sono già dimenticati in molti, ma noi no. Ora siamo in fase di riapertura. La gente ha voglia di tornare a teatro e vivere in comunità. Il problema è che, nel frattempo, si è persa l’abitudine a uscire e stare insieme. Ci sono molte persone ancora con la paura e la mascherina. I teatri sono ancora in forte difficoltà. È diventato più complicato fare uscire di casa la gente, se non con personaggi che abbiano un apporto televisivo. Sta a noi che viviamo il teatro fare cose di qualità per portare a galla la differenza. Da quest’anno poi abbiamo il nuovo direttore artistico Mariano Rigillo, che ci consentirà di avere stagioni ancor più variegate.

Qual è la cifra stilistica che differenzia il teatro Ciak dagli altri?

Difficile rispondere. Credo, probabilmente, nella nostra volontà di fare solo cose che ci piacciono, ossia solo spettacoli di cui andiamo fortemente fieri. Sappiamo essere una scommessa, nata nel 2019, proprio poco prima della pandemia. Avere un teatro sulla Cassia vuol dire averlo come in un’altra città per uno che vive dall’altra parte di Roma. Pertanto il nostro obiettivo è sempre cercare di attirare pubblico che raggiunga il nostro teatro anche da lontano e che abbia la certezza che al Ciak vedrà prodotti belli, ragionati e pensati apposta per fare qualcosa di importante. Il sogno è portare presto i nostri spettacoli in tutta Italia.

Ci sono stati aumenti come in tutti i teatri di Italia per la crisi energetica?

Pochissimo, sebbene ci sia dispiaciuto molto doverlo chiedere. Il biglietto è aumentato di 3 euro: per il pubblico magari non è una cifra altissima, per noi è un aiuto in più importantissimo in questo momento di crisi. Confidiamo nella passione di chi ama il teatro perché si comprenda questa situazione.

Massimiliano Beneggi