Bobo tv,il più grande flop Rai: il linguaggio social non funziona in tv

Ha fatto lo sbruffone davanti ai microfoni di Striscia la notizia, mentre Valerio Staffelli gli consegnava il Tapiro d’oro, ma Christian Vieri farebbe meglio a tornare coi piedi per terra e fare un bagno di umiltà. La sua Bobo Tv, trasferita su Raiuno, è il più grande flop del servizio pubblico. Mercoledì sera ha ottenuto meno di un milione di spettatori con il 6,8% di share sul primo canale di stato. Risultati da pelle d’oca per la tv di Stato. Le ragioni sono estrinsecate in dettagli tutt’altro che banali, sebbene lapalissianamente evidenti.

Riepiloghiamo tutto da capo, per chi avesse avuto la fortuna di non sapere mai cosa fosse la Bobo Tv. Un bel giorno, a Christian Vieri insegnano a fare le dirette social con il suo smartphone. La pandemia, nel frattempo, lo costringe a sentire i suoi amici più stretti tramite videochiamate. Come tutti, anche Vieri fa aperitivi virtuali, infinite chiacchierate piene di ricordi – e non potrebbe essere altrimenti, visto che in quel periodo il mondo è in pausa in attesa di “tornare migliori” – . Solo che mentre la massa della popolazione si fa i propri aperitivi potendo al massimo condividere successivamente screenshot di quella chiamata, lui essendo un personaggio pubblico si trastulla a trasformare quelle videochiamate in dirette social. Le fa con Antonio Cassano, Lele Adani, Nicola Ventola. I quattro ex calciatori (le videochiamate impediscono di avere un numero più alto di ospiti) ottengono numerosissime visualizzazioni. D’altronde nessuno ha nulla da fare e chiunque si dedica ai social: è facile, con la popolarità e gli algoritmi giusti, trovare tanto pubblico virtuale. Nello stesso periodo, per capirci, si sta facendo strada su Tik Tok un ragazzo che farà successo unicamente con un gesto delle mani pronto a banalizzare le azioni altrui.

Tutto semplicissimo, dunque, per Vieri, Cassano, Adani, Ventola. Loro, già famosi e noti anche per alcuni episodi che li hanno resi personaggi lontano dai campi di gioco, diventano nuove star sui social. Parlano di calcio, con una supponenza che puntata dopo puntata diventa sempre più intollerabile. Se si sommano le loro carriere, nel complesso, i quattro fenomeni hanno vinto due scudetti, una Liga spagnola, una Coppa Intercontinentale, una Coppa delle Coppe, una coppe Italia, due Supercoppe italiane, una Supercoppa Uefa. Ci sono giocatori che ottengono singolarmente il doppio di questo Palmares. Vieri avrebbe potuto portare a casa, per la verità, anche qualcosa di più a livello europeo e mondiale: tuttavia, il gol mancato a porta vuota contro la Corea nel 2002 e il rigore sbagliato in maglia viola nella semifinale di Coppa Uefa 2008, gli hanno impedito di vincere tornei dove partiva tra i favoriti. Poco male, vincere poco nel calcio non significa tutto. A meno che non ci si metta in cattedra per giudicare chi li ha succeduti, magari senza far parlare di sé per (de)meriti extracalcistici. Invece i quattro ridono e scherzano, senza un copione e senza nemmeno saper mettere insieme due parole di fila nella madrelingua italiana. Sui social, dove l’ignoranza non fa difetto, tutto questo piace molto: offre materiale da ripostare alle pagine che raccontano il trash dilagante e, contemporaneamente, consente di rispecchiarsi nei quattro eroi. La loro spontaneità dietro a un cellulare li rende uguali al pubblico dei social, con tanto di risate soffocate, parolacce e saltuaria mancanza di rispetto ad altri colleghi.

I quattro si montano la testa: prima incidono una canzone e poi portano i loro siparietti improvvisati anche in qualche teatro, ovviamente nell’ottica di realizzare serate di beneficienza e non certo per presentare uno spettacolo. Anche perché non sarebbero in grado di reggerlo. Purtroppo, ci pensa la Rai a chiamarli per ritagliarsi uno spazio tutto loro durante questi Mondiali in Qatar. Qui, Bobo, Antonio, Nicola e Lele mostrano le medesime spocchiosità, carenze di contenuti e lacune linguistiche (su questo fa eccezione Adani, che ha una proprietà di lessico da invidiare). Non bucano nemmeno lo schermo, forse perché nel frattempo hanno un po’ perso quel fascino di dieci anni fa, quando ancora giocavano (o in qualche caso guardavano le partite dalla panchina).

La verità è che il linguaggio social, ancora una volta, si rivela diverso da quello televisivo: inutile cercare di scimmiottarlo o di avvicinarsi a quel modo di approcciare che prevede basti la popolarità a rendere brillante un prodotto. La tv richiede di sapere parlare, di offrire qualcosa a chi da casa già meriterebbe un premio per il solo fatto di guardare un Mondiale dove l’Italia non c’è. Anche saper far ridere, ammesso sia questo l’obiettivo di una trasmissione dove invece si prendono anche troppo sul serio quando parlano di calcio, richiederebbe un certo impegno. Di certo non bastano due o tre prese in giro tra di loro: la tv si prepara, non è un social dove si va in diretta senza alcuna prova. Bisogna essere prima di tutto attori. Persino la Carrà provava ogni cosa: perché Vieri & co si possono risparmiare la fatica? Il dramma è che questa trasmissione sia in onda su Raiuno: in cosa consiste, esattamente, il servizio pubblico in questa circostanza?

Massimiliano Beneggi