È il Festival dei tormentoni. Sanremo 2023 sancisce definitivamente un nuovo modo di comporre le canzoni. Inedito per la riviera, si intende. Anche al Festival della canzone di tormentoni non ne sono mancati in passato (Musica leggerissima, Vattene amore, Brutta, per citarne alcuni), ma la liturgia della kermesse di inizio anno ha sempre richiesto canoni diversi da quelli usati in estate. Il vento sembra cambiato. Sarà che con la scomparsa delle manifestazioni canore estive, in molti hanno riscoperto l’importanza di Sanremo, obbligati a concentrarsi solo su quello. Sarà che da quando alla direzione artistica c’è Amadeus sembra di sintonizzarsi sul Festivalbar degli anni ‘90 (anche il cast di quest’anno lo conferma, da Grignani a Giorgia, passando per Paola e Chiara, Articolo 31, Anna Oxa, quindi Fiorello e Marcuzzi nella notte). Sarà che il successo di Colapesce e DiMartino nel 2021 ha ingolosito tutti. Sarà che se la maggior parte delle musiche si rifà alle dance più ballabili, non occorre usare molte parole. O forse, per vederla da un punto di vista un po’ meno rassicurante, sarà che c’è sempre più una penuria di autori e poeti e questa crisi ha indotto a fare economia sui versi che la fantasia e le emozioni possono produrre. Insomma, sarà quel che sarà (per citare un successo sanremese che proprio nel 2023 compie 40 anni) ma questa volta sembra davvero che in tanti abbiamo ceduto all’idea di creare un tormentone.

Prima che si offenda qualcuno, occorre naturalmente una precisazione con cui si definisca il tormentone. Parliamo di un bel brano, orecchiabile, spesso ballabile, non troppo impegnativo dal punto di vista del testo, talmente spensierato da poter essere memorizzato in breve tempo e cantato da tutti. Un tormentone ha tutte le caratteristiche per funzionare in radio, grazie alla ripetizione delle stesse parole, quasi sempre di uso comune, che si prestano a essere degli slogan.
Chiarito cosa sia un tormentone, è implicito che trovare termini e note che sappiano adottare quella estrema sintesi non si rivela comunque un compito facile. Per quanto, aiutati magari anche da un po’ di fortuna, è sicuramente meno impegnativo piuttosto che costruire raffinate odi che raccontino una storia.
Bene, a Sanremo 2023 pare essere esplosa la moda di cercare il tormentone. Basta guardare alle canzoni in gara.
Paola e Chiara, che di tormentoni estivi (e di successo) se ne intendono, ci provano con “Furore, furore, furore”. Elodie termina la sua canzone ribadendo all’infinito “Per me le cose sono due: lacrime mie, lacrime tue”. Madame, non appagata della strofa in cui ripete “Tanto tanto tanto”, si lascia andare con l’inciso che quasi ossessivamente ricorda “nel bene, nel male, fai bene, fai male, nel bene, nel male”. Persino Giorgia non si esime dal tentativo, con quella “bella canzone” che purtroppo sembra più nel testo che non nella riuscita del suo brano, deludente per certi aspetti. Questa moda non dispiace nemmeno a Colapesce e Di Martino, Lazza, Gassmann, Rosa Chemical, Articolo 31.
Chi più di tutti sembra distinguersi sono i grandi cantautori come Mengoni e Ultimo, che amano raccontare storie senza eccessive ripetizioni che superino l’abituale uso che viene fatto dai ritornelli.
Tutto questo è ancora una volta figlio di una comunicazione sempre più rapida, che non vuole perdersi in troppe chiacchiere. Occorrono parole chiave, che funzionino un po’ come gli slogan delle pubblicità. La musica liquida, che non richiede quelle pagine ricche di testi tipiche degli album 33 giri, si adatta a un mondo che va sempre più veloce cambiando continuamente. Ecco, a Sanremo 2023 funziona il brano tormentone (anche se in classifica poi si premiano Mengoni e Ultimo), chissà cosa succederà tra un anno. Vero è che al Festival mancano da troppi anni parolieri come Minellono, Berlincioni, Mogol, Dati, Mattone, Daiano e così via. Gente che scrive le canzoni da solo dall’inizio alla fine. Fateci caso: i brani di oggi hanno più autori accreditati che parole utilizzate. Qualcosa non torna: ripristiniamo il ruolo di chi davvero scrive, distinguendolo da chi partecipa alla produzione e si aggiudica qualche “sedicesimo” in più nella firma dei pezzi. Sarebbe più coerente.