Dunque nel 1993 nasceva Quelli che il calcio. Una trasmissione calcistica sì, ma anche musicale, potremmo persino dire sociale. Ma quale calcio e quale spettacolo vedevamo? Per scoprirlo, torniamo proprio all’estate 1993. Il mondo era tutto diverso.
Si potrebbe pensare solo alla musica per comprenderlo. Al Festivalbar spopolavano Raf con la sua Battito animale, Jovanotti con Ragazzo fortunato, gli 883 con Nord Sud Ovest Est e Sei un mito, Samuele Bersani con Chicco e Spillo, Marco Masini con T’innamorerai. Ci basterebbe una sola di queste canzoni per parlare anche oggi di musica di un certo livello. Sono passati trent’anni e ancora ne ricordiamo le parole a memoria. Merito, certamente, della bellezza dei brani ma anche delle ospitate che portavano gli interpreti nelle trasmissioni, all’epoca frequentate solo da artisti e non da influencer. Per inciso, a condurre Festivalbar c’era il futuro del Festival di Sanremo: Amadeus e Fiorello. Insieme a loro, Federica Panicucci.
Intanto Gianni Boncompagni stava per fare esordire in tv la giovanissima Ambra Angiolini, che a settembre avrebbe debuttato a Non è la Rai (trasmissione già avviata da due anni). Su Canale 5, invece, l’estate esplodeva di risate con la prima edizione La sai l’ultima? ma anche del divertimento con lo speed date televisivo Il gioco delle coppie. A condurre la coppia Mastrota/Estrada (futura figura semifissa a Quelli che il calcio). E se Mediaset si preparava al lancio del nuovo Sarà vero? con Alberto Castagna e alla risposta a Sanremo con Festival Italiano, anche Raitre non si limitava al programma di Fazio e Bartoletti per la nuova stagione. In arrivo, infatti, c’era anche Ultimo minuto, con Simonetta Martone e Maurizio Mannoni.

Anche il calcio era diverso. Non solo perché si giocava esclusivamente in contemporanea la domenica pomeriggio, fatta eccezione del posticipo serale. All’epoca c’era un limite di stranieri da schierare in campo: massimo tre. Due anni dopo, lo stesso limite si sarebbe imposto ai soli extracomunitari. Le campagne acquisti, dunque, dovevano considerare tutto questo, puntando dritto sugli italiani e su stranieri in grado di fare la differenza. Veri fenomeni insomma.
Fu quello che provò a fare nell’estate 1993 l’Inter del presidente Ernesto Pellegrini. La squadra voleva provare a rispondere alla storia milanista e dei suoi olandesi, con altri due tulipani: Dennis Berkgamp e Wim Jonk. L’attacco, con Rubén Sosa e Darko Pancev, più che i consensi dei tifosi di Quelli che il calcio incontrò la fortuna di Mai dire gol e della sua ironia verso le reti sbagliate. L’Inter favoritissima, allenata nella prima parte da Osvaldo Bagnoli e nel rush finale da Luciano Castellini, sarebbe poi arrivata a salvarsi di pochi punti ma, incredibilmente, a vincere la Coppa Uefa.
Dei tre tulipani milanisti, invece, ne rimase solo uno, più o meno. Ceduti Gullit alla Sampdoria (dove faceva coppia con Roberto Mancini e David Platt, altro neoacquisto bluceechiato) e Rijkard all’Aiax, restava Marco Van Basten. Il Cigno di Utrecht, però, iniziava ad avvertire proprio a giugno 1993 i dolori fisici che lo avrebbero costretto due anni dopo a un precoce ritiro. Lo sostituì dunque il Pallone d’Oro Jean Pierre Papin, acquistato in quell’estate come un altro difensore francese pochi mesi dopo: Marcel Desailly. Nonostante innesti non proprio indimenticabili come Brian Laudrup e Florin Raduciou, la squadra di Capello vinse il campionato, la Champions’ League e la Supercoppa Italiana grazie anche agli italiani Daniele Massaro, Marco Simone, Franco Baresi, Paolo Maldini, Mauro Tassotti, Christian Panucci.

La Juventus stava per completare il suo Purgatorio prima di tornare a vincere nella stagione successiva. Roberto Baggio, futuro protagonista dei Mondiali americani nell’estate 1994, veniva affiancato a un altro futuro campione: Alessandro Del Piero. Il calciomercato 1993 scopriva così un nuovo talento sorprendente: il centrocampo di Giovanni Trapattoni si rinforzava con Angelo Di Livio. Ma per quella stagione, precedente all’arrivo del Trap in Germania, ancora nessun successo.
Il Napoli di Ferlaino, orfano di Maradona da due stagioni, aveva ormai finito le sue migliori cartucce. In quell’estate 1993 se ne andarono anche Careca, Zola, Crippa e Giovanni Galli. Debuttava, al posto di quest’ultimo, Taglialatela. In compenso, si gettavano le basi per futuri successi non tanto partenopei quanto juventini e tricolori. Nel 1993 arrivò infatti sulla panchina Marcello Lippi, che fece debuttare un giovanissimo Fabio Cannavaro. L’attacco composto da Fonseca e Di Canio portò comunque gli azzurri a un dignitoso sesto posto, con il ritorno in Coppa Uefa.
Erano anni piuttosto anonimi per la Roma, ma anche in quel caso si creava una base per il futuro. Arrivava alla presidenza Franco Sensi, ossia colui che portò poi allo scudetto i giallorossi otto anni dopo. In attacco veniva acquistato Abel Balbo.
La capitale sognava di più con la Lazio per la verità. In quell’estate approdarono in biancoceleste Marchegiani (che poi come Signori avrebbe fatto parte dell’Italia vicecampione del Mondo negli USA), Casiraghi, Negro, Di Matteo. Raggiunti qualche mese dopo da Alain Boksic, i biancocelesti allenati da Dino Zoff arrivarono quarti a fine campionato.
La rivelazione fu il Parma di Nevio Scala, che ancora non sapeva di essere una promessa per le stagioni a venire. Anche se a leggere la campagna acquisti di quell’anno sembra, col senno di poi, persino troppo poco il quinto posto finale: dal Napoli arrivarono Zola e Crippa, dall’Udinese ecco Nestor Sensini in difesa. Tra i pali via Taffarel, dentro Bucci: entrambi in Nazionale, ma sappiamo bene (ahinoi) chi alzò la Coppa negli USA.
Squadre mediopiccole come il Torino di Mondonico Foggia di Zeman e la Cremonese di Gigi Simoni, si posizionarono nella parte sinistra della classifica. Realtà che oggi appaiono impossibili da ripetersi.
C’era inoltre la Fiorentina di Claudio Ranieri in Serie B. Le reti di Batigol e compagni, tuttavia, non erano un segreto per il pubblico televisivo. Ed è proprio qui che entra in gioco Quelli che il calcio. Il regista Paolo Beldì, infatti, da grande tifoso viola faceva partire l’inno Oh Fiorentina a ogni gol della sua squadra del cuore. Ecco come la trasmissione di Raitre sarebbe entrata nelle case degli italiani, raccontando il calcio in un modo che nessuna altra squadra avrebbe saputo fare.
Se trent’anni dopo siamo qui a ricordare quell’estate 1993 e i suoi prodotti, vuol dire che furono centrati obiettivi davvero importanti. La memoria nostalgica ci riporta sempre e solo laddove la nostra anima sa di avere vissuto pienamente.
Massimiliano Beneggi