Inizia oggi il campionato di Serie A di calcio. A suo modo, anche TeatroeMusicaNews ve lo racconterà. Con uno sguardo al presente e uno al passato. Rigorosamente tra teatro e musica. Ma non sarà l’unica novità di quest’anno: faremo riferimento, infatti, anche alla storia televisiva. Ogni domenica, rivivremo con diversi contenuti un programma indimenticabile. Lo faremo con monografie, ricordi e aneddoti di ogni genere, riportando la filosofia di quella trasmissione più filosofica di quanto non si potesse immaginare. Perché chi la frequentava, sembrava davvero una riproposizione di qualche importante personaggio studiato sui libri di scuola.

Trent’anni fa, nell’estate 1993, si profilava l’inizio di una nuova storia televisiva. Stava per nascere una delle trasmissioni che avrebbe cambiato il modo di interpretare lo sport, ma anche lo stesso piccolo schermo: Quelli che il calcio.

Fabio Fazio, storico conduttore delle prime nove edizioni di Quelli che il calcio, che si rivelò la sua consacrazione

Innovativo il racconto del mondo del calcio: il pubblico non era più costretto ad accontentarsi di controllare la pagina 202 di Televideo nella speranza di vedere lampeggiare la partita della squadra del cuore. Gli aggiornamenti arrivavano in diretta dalle voci di tifosi vip che, in collegamento dallo stadio o in studio davanti allo schermo dell’incontro, potevano esultare liberamente uscendo da ogni rigido protocollo giornalistico. Lo sport diventava argomento di dibattito popolare, non più affidato ai soli addetti ai lavori. Tutto senza perdere l’approfondimento dato dalla rigorosa attenzione di professionisti quali Marino Bartoletti e Carlo Sassi (quest’ultimo naturalmente addetto alla moviola, da lui stesso portata in Italia anni prima).

Innovativa la narrazione televisiva: non si doveva più scegliere tra la cronaca in diretta di Tutto il calcio minuto per minuto o l’intrattenimento di Domenica In. Finalmente tutto arrivava in un solo contenitore, capace di soddisfare nello stesso momento gli sportivi più accaniti e quelli a cui dei gol non importava nulla. Così si univano musica, sport, cabaret e tanti spazi ricchi di originalità e apparente nonsense, per una tv che scopriva personaggi nati per fare tutt’altro ma innatamente comici. Sarebbe stata la cifra stilistica di Fabio Fazio e dei suoi programmi. Se, nel 1997 e nel 2003, nacquero format come Anima mia e Che tempo che fa, il merito è del successo di Quelli che il calcio e del suo chiaro messaggio: la televisione è di chiunque la frequenti, soprattutto del pubblico da casa che merita di essere coinvolto in prima persona. Con questo atteggiamento rivoluzionario, naturale sviluppo della tv di Renzo Arbore, Fazio avrebbe cambiato persino il Festival di Sanremo.

Suor Paola, la religiosa notoriamente tifosa della Lazio

Così, con una trasmissione capace di unire tanti elementi diversi tra loro, nascevano nuovi linguaggi sportivi e televisivi allo stesso tempo. Tutto diretto dalla magistrale regia di Paolo Beldì. Uno che aveva già diretto, tra gli altri, la Gialappa’s Band agli esordi di Mai dire tv e che successivamente sarebbe stato chiamato da Adriano Celentano per Francamente me ne infischio. Con uno sguardo geniale riusciva a confezionare momenti di straordinaria ironia che si inserivano benissimo nel racconto del programma. Una volta riprendeva lo spettatore che dormiva allo stadio, un’altra volta coglieva in flagrante quello impegnato a cercare forme di vita nel proprio naso, oppure il tifoso troppo acceso che elargiva gesti dell’ombrello verso l’arbitro.

Fu il caso di Renato Panconi, pediatra tifosissimo della Sampdoria che con un plateale gestaccio esprimeva la sua totale disapprovazione scatenandosi anche sotto un diluvio incredibile. Il medico fu chiamato dalla redazione del programma e da quel momento divenne un inviato fisso. Successe così anche con tale Carloni, tifoso molto basso del Perugia che aveva l’abbonamento in un posto singolare dello stadio: dietro a una colonna. La sua altezza dunque non era certo agevolata nel vedere la partita e in più di un caso doveva chiedere a chi era vicino a lui cosa fosse accaduto in campo.

Pietro Barucci, all’epoca fresco ex Ministro del Tesoro, si espresse a Quelli che il calcio nella sua fede calcistica per la Fiorentina con elegante ironia come ospite fisso

Si potrebbero citare innumerevoli altri nomi: ricorderemo i frequentatori più habitué, perché tutti erano significativi. Ciascuno interpretava il pensiero del tifoso comune, unendo la vita privata con le emozioni del calcio che diventavano nel loro caso anche vita pubblica. Accadeva per personaggi religiosi (l’atalantino Padre Alvaro o la laziale Suor Paola), che non profanavano i propri voti, ma piuttosto si esaltavano nella passione calcistica ben consapevoli che la fede del tifo e la sacralità dello sport fossero solo un gioco, diverse dalle loro scelte di vita. Accadeva per Piero Barucci, ministro del Tesoro nel biennio Amato-Ciampi, che con sua moglie diventava un’altra persona quando si doveva parlare di Fiorentina. Così come Bedi Moratti lasciava ogni rigore quando doveva seguire la sua Inter. Non mancava (anche se mai ufficialmente ospite) la presenza dell’immancabile Leone Di Lernia, costantemente allo stadio San Siro a ogni partita del Milan, posizionato dietro all’inviato di turno. E per la Juventus? A commentare le partite dei bianconeri c’era un simpatico e competente giornalista di origine africana ma che conosceva già da vent’anni la nostra Italia: Idris Sanneh. C’era poi uno dei caratteristi più famosi del cinema italiano, Massimo Alfredo Giuseppe Maria Buscemi: tra i film a cui aveva partecipato, si ricordano Asso e Grandi Magazzini, ma a Beldì interessava sfruttare le qualità fino ad allora sconosciute di ogni singola persona. Buscemi aveva una memoria di ferro e conosceva a memoria la carriera di tutti, ma proprio tutto, i giocatori della Serie A. Così con sguardo imperterrito che non lasciava trasparire emozioni, di puntata in puntata ricordava aneddoti assolutamente veri ma che nessuno, prima di Internet, avrebbe mai avuto il tempo di verificare.

Particolare anche la scelta degli inviati giornalisti: nomi consegnati alla storia per la loro impeccabilità, che si trasformavano in giocolieri degli spalti con ironia e garbo al tempo stesso. Si pensi a Paolo Brosio, fino a quel momento noti per essere l’esperto di Tangentopoli per conto del Tg4: l’ironia in cui veniva inserito rese popolarissima anche la madre, Anna Brosio. Insieme creavano siparietti capaci di unire tanta simpatia e tenerezza al tempo stesso.

Si pensi anche a Everardo Dalla Noce, conosciuto per la sua precisione circa l’informazione della Borsa di Milano, sorpreso frequentemente a mangiare nella sua postazione allo stadio, disinteressato alla partita di turno. Del resto lui, da buon tifoso della Spal, si interessava ai risultati della sua squadra, unica della Serie C di cui si avessero aggiornamenti continui grazie a Quelli che il calcio. Successivamente il suo posto fu preso da Tonino Carino, attento giornalista sportivo, di cui fu sdoganata un’innata comicità.

Persino gli ospiti più importanti (Teo Teocoli, Anna Marchesini, Claudio Baglioni), nelle edizioni successive, diventavano perno del programma grazie ai loro talenti ma anche coadiuvati da personaggi estrosi che nessuno avrebbe mai pensato di associare a loro. A Teocoli venne affiancato Takheide Sano, un architetto giapponese che parlava poco e male l’italiano ma sempre pronto a travestimenti con cui seguiva fedelmente il comico milanista. Anna Marchesini fu affiancata ad Arianna Mihajlovic, forse la più costante tra le mogli di calciatori. Claudio Baglioni tutto avrebbe immaginato nella vita tranne che realizzare l’inno dell’Atletico Van Goof, squadra di calcio che giocava in Eccellenza, creata ispirandosi al grande Peter Van Wood che non azzeccava mai un pronostico. Essere tifosi (non necessariamente tecnici di football) era sufficiente per crearvi intorno delle situazioni appassionanti. È il caso di Alessia Merz, Natalia Estrada o Valeria Marini, la quale passando in mezzo a una strada causò involontariamente un incidente durante una diretta, a causa della sua bellezza che aveva distratto un automobilista.

Ma se la televisione, come il calcio, appartenevano a tutti, la stessa cosa valeva anche per gli autori. Solitamente relegati a essere nomi senza un volto, ma ricordati attraverso quelle scritte in sovraimpressione che scorrono da sempre velocissime al termine dei programmi. Quasi a sfidare il pubblico che da casa dovrebbe poterli leggere solo con il rallenty del Var. Bene, a Quelli che il calcio gli autori erano protagonisti. Vi ricordate di Pietro Galeotti? Faccia da bravo ragazzo, occhialini, bella parlantina, appena apriva bocca ci si rendeva conto subito che Galeotti incarnava l’anima della trasmissione. In lui c’erano nello stesso tempo la simpatia e la genialità di Fazio, ma anche l’informazione statistica sempre documentata di Marino Bartoletti.

Con l’addio di Fabio Fazio, nel 2001, cambiò il programma, che seppe proseguire in maniera assodata con Simona Ventura, Gene Gnocchi e Maurizio Crozza. Quando però, in seguito, si avvicendarono le condizioni di Victoria Cabello, Nicola Savino e Luca e Paolo, il calcio nel frattempo era cambiato. Meno fenomeni, ma soprattutto troppo spezzatino che vedeva ormai due partite la domenica pomeriggio. Il programma perdeva le sue peculiarità. Ma ha troppa importanza nella storia della tv perché non se ne parli. Visto il nuovo addio, proprio quest’anno, di Fabio Fazio alla Rai, c’è il forte rischio che verrà a mancare qualunque tipo di celebrazione di un programma che ha cambiato radicalmente il modo di fare televisione. Ci penseremo noi, attraverso un racconto diviso per tematiche, monografie e ricordi naturalmente anche sportivi.

Nelle prossime settimane, ripercorreremo quindi la storia di una delle trasmissioni più incredibili della televisione. È durata ventinove anni, ma forse avrebbe potuto andare avanti molto di più se solo si fosse dedicata quella stessa attenzione prestata dagli autori delle prime edizioni…

Massimiliano Beneggi