Fino al 22 ottobre, al Piccolo Teatro Grassi di Milano (via Rovello) è in scena L’interpretazione dei sogni (produzione Teatro Stabile di Bolzano, Fondazione Teatro della Toscana, Teatro di Roma, in collaborazione con Piccolo Teatro di Milano), di Stefano Massini che si è liberamente ispirato agli scritti di Freud. Ecco la recensione dello spettacolo, che ha registrato il tutto esaurito. (Orari: martedì e sabato, ore 19.30; mercoledì e venerdì, ore 20.30; domenica, ore 16. Lunedì e giovedì, riposo).

Foto di Filippo Massini

IL CAST

Stefano Massini, accompagnato musicalmente da Saverio Zacchei, Damiano Terzoni, Rachele Innocenti.

LA TRAMA

Siamo nel 1891. Sigmund Freud, già noto per i suoi studi sull’isteria, si ritrova descritto da sua figlia con una metafora spiazzante: lei, osservandolo studiare la testa delle persone per indagare le loro personalità, lo vede come un ladro che entra dalla finestra nelle case della gente. A questa immagine si affianca un ripetuto errore della cameriera, che sbaglia il cognome dello psicoanalista chiamandolo Froid, ossia “freddo”. E siccome la ragazza necessita contestualmente di coprirsi per proteggersi dal freddo, Sigmund interpreta quell’errore linguistico tutt’altro che sottovalutabile: la cameriera sente di doversi proteggere dallo psicoanalista. O, per dirla con le parole della figlia, da quel “ladro che entra nelle case dalla finestra” per scoprire la mente umana. Freud capisce così che queste associazioni, tutt’altro che immediate, sono create dal cervello esattamente come accade nei sogni, quando sviluppiamo un poema che merita di essere analizzato e compreso senza tralasciare nulla, perché tutte le figure oniriche hanno un ruolo fondamentale e simboleggiano qualcosa di diverso. Così Freud può tornare indietro con i suoi ricordi e interpretare diversamente le sue stesse paure. A cominciare da quella fobia per il pollo che gli era venuta quando un suo compagno di classe stava rischiando di soffocarsi dopo averne mangiato un po’: il bidello per salvarlo lo aveva preso a fortissimi colpi sulla schiena. Quando poi Freud anni dopo, per circostanze diverse e da un’altra persona, subì anch’egli analoghi colpi, comprese che la sua vera paura non era nel pollo, ma nelle sberle: una volta conosciuta la paura (vera), scompariva quindi la fobia (ossia la paura finta). Sempre più sicuro di questi meccanismi con cui la mente umana sposta apparentemente un problema da un oggetto all’altro, lo psicoanalista inizia quindi lo studio dell’interpretazione dei sogni. Sarà un viaggio incredibile, dove scoprirà che la gente anche quando pensa di vivere un incubo, talvolta sta piuttosto liberando la parte più censurata di sé, riuscendo persino a ridere come non fa mai nella vita reale. I nani che sogniamo da adulti sono la proiezione di noi stessi da piccoli, come i giganti sognati dai bambini sono la proiezione di questi da grandi. E gli animali dei sogni cosa rappresentano? Come il suo pollo: nient’altro che angosce e fobie.

LA MORALE

Perché ai bambini viene concessa la paura del buio, mentre da adulti ci costringiamo a tradurla in paura della morte? In fondo rappresenta sempre il medesimo timore dell’ignoto e di una fine. Tutto quello che vediamo superficialmente, nasconde meccanismi complessi che il nostro cervello crea da solo ma non vuole ammettere. Nulla è casuale, nemmeno gli errori linguistici: ogni cosa simboleggia qualcos’altro. Hegel (che visse quasi un secolo prima di Freud), diceva “tutto ciò che è reale è razionale, tutto ciò che razionale è reale”. Dall’interpretazione dei sogni di Freud in avanti possiamo dire che anche tutto ciò che è apparentemente irrazionale è più che mai reale.

Foto di Filippo Massini

IL COMMENTO

Difficilissimo trasporre un testo come L’interpretazione dei sogni a teatro, non essendo questo un romanzo ma piuttosto un trattato in cui vengono analizzate caso per caso, tutte le storie oniriche di pazienti freudiani. Eppure Massini ci riesce e lo fa molto bene. Ne emerge una messa in scena consigliata per tutte le scuole che studino la psicoanalisi, perché il linguaggio già di per sé semplice, ma a volte eccessivamente prolisso, di Freud viene sintetizzato molto bene. Si rende comprensibile a tutti una teoria di altissimo spessore, che troppe volte banalizziamo traducendola in una volgare associazione simbolica utile solo a ottenere numeri giusti da giocarci. Lo spettatore (nel pubblico della prima anche Gioele Dix) non viene chiamato sul palcoscenico, ma si sente chiamato in causa in continuazione: partecipa attivamente grazie al coinvolgimento di un testo che riguarda tutti, nessuno escluso. Ciascuno con le sue fobie e le sue paure si ritrova, in questo spettacolo, a fare un’analisi profonda di se stesso e dei propri sogni. Impossibile sfuggire all’occhio gigante proiettato sul palcoscenico e che per i 100 minuti di messa in scena osserva il pubblico, facendolo rispecchiare nella sua anima. Lectio magistralis adatta a chiunque abbia voglia di mettersi in gioco, scoprendosi in un vortice di emozioni.

IL TOP

Stefano Massini è un perfetto divulgatore del pensiero freudiano: si rivolge alla platea come un narratore esterno, assumendo poi il ruolo dello psicoanalista, ma anche di alcuni personaggi che ruotano attorno alle storie. Si intuisce la sua passione per l’argomento, in uno spettacolo ben costruito con grande semplicità: i fasci di luci (di Alfredo Piras), le scene (di Marco Rossi) e le immagini proiettate (di Walter Sardonini) si intersecano con i tempi collaudatissimi del racconto, fatto unicamente da Massini. Solo in un paio di circostanze la voce della paziente arriva da una proiezione (magnificamente pensata per mostrare solo la bocca che parla), per tutto il resto Massini è in grado di coinvolgere senza mai sovrapporre i personaggi, né generare quindi alcuna confusione. Le storie non sono legate l’una all’altra, quindi ci si potrebbe persino distrarre un attimo che poco cambierebbe nella comprensione del testo. Rischio comunque scongiurato: non succede con uno spettacolo dai tratti così ben definiti.

LA SORPRESA

La musica di Enrico Fink, suonata dal vivo da Zacchei (trombone e tastiere), Terzoni (chitarra), Innocenti (violino) è il punto di qualità in più che permette a Massini di staccare tra una storia e l’altra, ma anche di accompagnarlo con sottofondi che descrivono meglio quanto viene raccontato. Una piccola orchestra che dà il tocco fondamentale a uno spettacolo dove non manca nulla: questa è cultura a 360 gradi.

Massimiliano Beneggi