Continuiamo il nostro excursus nella storia di Sanremo Giovani riprendendo dal 1989. Che quello del 2019 sia una novità assoluta solo per Baglioni che lo promuove da mesi come una sua invenzione, è ormai un fatto noto che abbiamo già chiarito, la prima edizione targata Aragozzini lo dimostra perfettamente. In quell’anno infatti prima del Festival, per tre giorni, si esibiscono otto cosiddetti Emergenti, ovvero Giovani con due, tre album alle spalle ma non abbastanza importanti da essere già nei Big. In questa sezione trionfa finalmente Paola Turci con Bambini, seguita da Stefano Borgia e Aleandro Baldi, che invece canta E sia così. I veri Giovani, invece, si sfidano nei giorni successivi come sempre: non arrivano in finale i Ladri di biciclette di Paolo Belli che spopoleranno nell’estate con Sotto questo sole, mentre emerge un certo Gianluca Guidi, proprio lui, il figlio di Johnny Dorelli, di cui ha conservato il medesimo timbro vocale oltre che la risata. Si presenta con Amore è, una canzone scritta musicalmente da Augusto Martelli, quello per intenderci delle sigle televisive Mediaset: si ferma alla semifinale, tutti lo notano, ma pagherà un po’ lo scotto di una somiglianza fin troppo evidente con il padre. Sul podio con E quel giorno non mi perderai più arriva invece Franco Fasano, che nello stesso anno vince tra i Big come autore di Ti lascerò, cantata da Leali e Anna Oxa. Davanti alla giovanissima Jo Chiarello (Io e il cielo), trionfa quindi Mietta con Canzoni, un brano di Amedeo Minghi, con il quale l’anno dopo spopolerà tra i Big con la celebre Vattene amore. Inizia la carriera di una delle artisti più importanti della musica italiana.

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Nel 1990 sparisce, momentaneamente, la categoria Emergenti, rimangono le cosiddette Novità, che vede l’anomala partecipazione dei Future già vincitori due anni prima ma incomprensibilmente non promossi tra i Big. Due figli d’arte importanti in gara: uno è ancora Gianluca Guidi, che canta Secondo te, presentato dal padre Dorelli che quell’anno Aragozzini ha scelto all’ultimo momento come conduttore, l’altra è Rosalinda Celentano: per fortuna dopo L’età dell’oro non la sentiremo più cantare. Silvia Mezzanotte, che dodici anni dopo trionferà coi Magia Bazar tra i Big, canta Sarai grande ma non ottiene più successo dell’improbabile Lambada strofinera, brano scritto da Arbore per Armando De Razza. Se Nel 1990 prosegue il successo della Lambada più celebre dei Kaoma, è pur vero che quello rimarrà l’anno di Marco Masini, che dopo una lunga gavetta da corista di Tozzi, vince imponendosi con Disperato, una canzone struggente di un uomo rimasto solo senza una ragione di vita. Per il secondo anno consecutivo, a Sanremo, vince tra i Giovani una stella, stavolta scuderia Bigazzi. E sarà così per diversi anni a seguire, con la “tradizione” che vorrà il vincitore dei Giovani arrivare terzi nei Big l’anno successivo.

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1991, ancora un toscano davanti a tutti: è la volta di Paolo Vallesi che con Le persone inutili apre la strada a quella che sarà la sua canzone dell’anno dopo, La forza della vita, che sarà inno nella lotta contro l’Aids. Dietro di lui due donne che Luciano Rispoli saprà valorizzare, e forse ahimè nessun altro come lui: sono Irene Fargo e Rita Forte, che si classica terza con È soltanto una canzone. L’ironico brano Il lazzo, dal doppio senso nemmeno troppo velato, è scritto e cantato da Gianni Mazza, già noto al pubblico per essere parte della squadra di Arbore e direttore d’orchestra di Scommettiamo che: la sua partecipazione rimane però pressoché dimenticata, forse per l’eccessiva forzatura di una canzone onestamente poco carismatica. Non arrivano invece alla finale i Timoria di Omar Pedrini con L’uomo che ride. A condurre quell’anno, Andrea Occhipinti e Edwige Fenech: dal 1992 inizia l’epopea Baudo.

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