È in scena stasera 28 febbraio al Teatro Manzoni di Milano (poi dall’8 al 10 marzo all’Olimpico di Roma) la seconda e ultima serata dedicata a CanovaTra innocenza e peccato, di Vittorio Sgarbi. Ecco la recensione.

IL CAST

Vittorio Sgarbi, Carlo Bergamasco, Marcello Corvino

LA TRAMA

Antonio Canova è lo scultore e pittore del Neoclassicismo italiano per eccellenza, ma per due secoli è stato ritenuto un artista noioso è difficile da capire. Tanto che parte della critica lo bollò come lo scultore nato morto. Eppure nelle sue opere, Canova ha sempre saputo rappresentare anzitutto la bellezza ideale, con la forza artistica in grado di superare la realtà della vita. Ed è proprio questa la chiave che, un po’ a sorpresa, unisce Canova al Peccato (dimensione completamente opposta al Bello ideale): un’arte talmente vicina alla realtà da diventare persino un insulto alla vita, qualcosa a cui guardare con diffidenza perché rischia di non rispettare la concreta bellezza. Eppure, così facendo, Canova ha regalato l’ideale estetico di una bellezza eterna.

LA MORALE

Che l’arte sia vita lo si evince dal modo con cui viene trattata: molteplici interpretazioni la possono rendere in un modo piuttosto che in altro. L’arte non può essere celebrata solo in un’unica forma canonica, perché altrimenti non viene data ragione al suo essere. Così Canova per secoli è stato quasi snobbato e raccontato in un modo troppo poco coinvolgente perché potesse essere davvero apprezzato, come avviene indagando invece nella sua parte più autentica e peccatrice, lontana dall’innocenza che gli viene costantemente attribuita.

IL COMMENTO

Una lectio magistralis su Canova, che solo Vittorio Sgarbi può tenere, perché nel ricordo dell’artista, a duecento anni dalla scomparsa, non ci sono solo parole di stima, ma persino qualche (affettuosa) dissacrazione. È così che, paradossalmente, Sgarbi riesce a esaltare Canova: mettendolo in discussione, sviscerandone le contraddizioni, criticandolo come è giusto si faccia con l’arte. Con un linguaggio semplice, non privo di spontanea ironia, Sgarbi racconta le opere commissionate dagli Asburgo e i Borbone, passando per Vaticano a Napoleone, apertamente additato come il responsabile di trafugamenti di opere italiane in Francia, riportate da noi proprio dal Canova. Opere come Paolina Borghese, Amore e Psiche, Le Tre Grazie, acquistano così un carattere nuovo. Diverso da quell’epoca in cui Canova veniva raccontato solo con delle fotografie poste in disordine, quasi con un senso di vergogna nei confronti della sua arte. Oggi, al contrario, il rapporto tra Canova e la fotografia è quello tra un ispiratore della contemporaneità e nuovi artisti pronti a fissare al volo scatti della vita quotidiana.

IL TOP

A Vittorio Sgarbi (protagonista e regista in diretta dello spettacolo, di cui dirige la sequenza delle immagini da proiettare) non è mai interessato risultare simpatico, ma raccontare la verità. Accade, però, che proprio in virtù di ciò che dice riesca a essere anche ineguagliabilmente simpatico, contro ogni suo desiderio. Al di là delle questioni di simpatia o antipatia, nessuno come lui è in grado di spiegare così bene l’arte: il linguaggio è discorsivo, facile e piacevole da seguire. Poi esci dal teatro e ti rendi conto di avere assistito a una lezione universitaria, conoscendo finalmente Canova come mai ti era stato proposto. Niente turpiloqui: quando Sgarbi è lasciato sereno di fare ciò in cui è il migliore in assoluto, non esiste la rabbia che viene provocata dai salotti televisivi. E il pubblico del Manzoni, con pochissimi posti rimasti liberi anche stasera, apprezza largamente.

LA SORPRESA

C’è uno spettacolo nello spettacolo: il professore è infatti accompagnato da un violinista (Marcello Corvino) e un pianista (Carlo Bergamasco) che delicatamente affiancano Canova alle musiche di Mozart. Serve per spezzare lo spettacolo, dando un ritmo dinamico, ma anche per ascoltare la musica classica che, al pari della pittura e della scultura, non si sa come mai sia spesso considerata “noiosa”. Il classicismo sarà anche noioso, ma nel suo conservatorismo c’è qualcosa di estremamente sorprendente e dalle molteplici chiavi di lettura, come ci insegna Sgarbi.

Massimiliano Beneggi