Simone Colombari: La comicità surreale non morirà mai -INTERVISTA

Impegnato ne Il test (al teatro Martinitt da Milano fino a domenica 17 ottobre, CLICCA QUI PER LEGGERE LA RECENSIONE) e nel programma radiofonico 610 con Lillo e Greg, Simone Colombari è uno degli artisti più completi e divertenti con il suo nonsense da cui è persino possibile trarre spesso delle riflessioni tutt’altro che banali. Non a caso anche quest’estate ha potuto permettersi di recitare alcuni monologhi del teatro-canzone di Giorgio Gaber, accompagnato dalle interpretazioni canore di Piji.

Nello spettacolo che lo vede al fianco di Roberto Ciufoli, Benedicta Boccoli e Sarah Biacchi, interpreta Tony, il compagno della giovane psicoanalista Berta (la Biacchi) che gli sottopone un test psicologico. Se ti offrissero la possibilità di avere 100 mila euro subito oppure di aspettare per dieci anni e avere un milione, quale soluzione preferiresti delle due?

Lo abbiamo chiesto direttamente a Simone Colombari, ospite della nostra intervista settimanale.

Simone, quando lo spettacolo andò in scena per la prima volta era gennaio 2020, poco prima di questa inimmaginabile pandemia. Nella commedia non si fa alcun riferimento al Covid, ma credi che l’interpretazione del test abbia subito un cambiamento dopo quello che abbiamo vissuto?

Viviamo di quello che ci circonda e che ci influenza, quindi può darsi che in effetti sia cambiato qualcosa. Usciamo tutti da un periodo di grave crisi: ci sono settori che hanno sofferto più di altri. Un test come questo, fatto oggi, probabilmente fa dire più facilmente: “Dammi subito i 100 mila euro, non si sa mai che arrivi un’altra pandemia”. E’ un test che però racconta in generale la personalità di una persona. La domanda che pone è di fatto traducibile in “Vuoi tutto subito o sei un programmatore?”. L’interpretazione della risposta non può non considerare un fattore importante: l’età. Più si è giovani probabilmente più si è disposti ad aspettare, perché si ha molto tempo davanti a sé.

Cosa ti appassiona di più di questo spettacolo?

Il suo coinvolgimento. Quello che viene proposto è un test molto ruffiano per fare in modo che il pubblico si ponga la stessa domanda dei protagonisti. I commenti che sentiamo quando si esce sono quasi sempre quelli: “Tu cosa avresti fatto?”. E così il pubblico esce con una domanda irrisolta di cui continua a cercare le risposte. D’altronde questo è il compito del teatro: fare una fotografia di una situazione che vada a colpire nell’ intimo delle persone facendole riflettere. Il teatro nasce per essere uno specchio della realtà, i greci lo inventarono per mostrare vizi e virtù di una popolazione.

Simone Colombari come si comporterebbe con un test del genere?

Sono abbastanza riflessivo, non sono molto istintivo. Ammetto, però, che ora sarei in crisi a dover scegliere. Forse tra dieci anni direi che li voglio subito senza aspettare, ma non ho nemmeno più 40 anni per permettermi di investire sul futuro in un certo modo. Credo che, dopo una lunga riflessione, direi che li voglio subito, per poi stare a vedere che cosa accadrà dopo.

Sul palcoscenico durante quella finta cena che dura per tutto lo spettacolo, c’è una bottiglia di vino che finisce. Quella è vera?

Nelle prime repliche avevamo una specie di succo di mirtillo, talmente dolce che ci toglieva l’appetito una volta finito lo spettacolo. Abbiamo pensato, che essendo tutti adulti, possiamo permetterci di bere una bottiglia di vino rosso. Su quella non c’è alcuna finzione, ma non ci ubriachiamo!

È il primo spettacolo che vi vede tutti e quattro insieme, eppure siete affiatatissimi, sembra che collaboriate tra voi da anni!

È scattata in effetti una alchimia che ci porta stare insieme con grande facilità. Questo è fondamentale in uno spettacolo, perché per fare un coro che non sia stonato bisogna sapersi ascoltare, ma non è scontato che accada. Solo che anche quando non capita, essendo attori, si prova a mascherarla. Con Benedicta e Sarah è la prima volta in assoluto che lavoriamo insieme. In realtà è il debutto in uno spettacolo teatrale anche con Roberto, che però conosco da vari anni avendo collaborato con lui in passato per alcune serate di intrattenimento ed happening. Con Roberto sei anni fa fondammo una squadra di attori appassionati di sci, gli Sciattori appunto. Quando ci siamo ritrovati insieme per questo spettacolo, quindi, ci sembrava di essere compagni di scena da anni ormai.

I lockdown dell’ultimo anno e mezzo hanno incentivato un modo di comunicare sempre più digitale. La comicità stessa, dopo avere puntato per anni sui tormentoni, ora sembra in qualche caso essersi ridotta a brevi clip, prive di professionalità, su Tik Tok e le diverse piattaforme. È ancora il tempo del Coratto Magiglioso, o si è costretti a pensare a un nuovo modo di far ridere?

La comicità è in continua evoluzione, come tutto, ma qualcosa durerà nei secoli per quanto si voglia creare novità. C’è chiaramente un tipo di comicità che invecchia prima di altri, specie quella satira del momento legata a fatti di cronaca. Oggi, per esempio, la satira politica su Craxi. DC, PCI appare fuori tema. Io preferisco una comicità che, non avendo a che fare con la realtà, ma con la surrealtà, viva sempre. Il Coratto Magiglioso fa parte di un personaggio, Gianfilippo Caraglia, che trova le sue origini in Fosco Maraini l’autore della poesia Il Lonfo, che Proietti interpretò in maniera magistrale e che anch’io mi sono permesso in certe occasioni a volte di recitare. Una cosa del genere passa indenne attraverso il tempo perché si basa su giochi di parole, che se vogliamo risalgono addirittura ad Achille Campanile. Io amo quel modo di intrattenere.

E non a caso ti inserisci perfettamente nella comicità di Lillo e Greg…

Li conosco dal 1993 e nei loro primi spettacoli a teatro capii subito che con loro c’era una certa sintonia. Ormai da 18 anni lavoriamo insieme su Rai Radio Due in 610 e anche lì ci divertiamo con una surrealtà che non si preoccupa tanto del finale scontato quanto di come si arriverà a questo. Quando facciamo il Guinnes dei Primati, per esempio, si sa già dall’inizio che quel personaggi morirà, ma incuriosisce sapere come accadrà ogni volta. È un tormentone di situazione, con un cinismo finale, che di fatto ha le sue origini nella bella comicità che ha sempre funzionato in Italia. Vedi, è già stato fatto tutto, è difficile oggi inventarsi qualcosa di completamente nuovo.

Massimiliano Beneggi

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